Il nucleare iraniano in Medio Oriente: una trattativa fragile sotto la lente

«Il fatto che si dialoghi è già un successo, un passo avanti rispetto alle posizioni iniziali dell’Amministrazione Trump, quando sembrava che l’unica via fosse la guerra». Giuseppe Acconcia è docente di geopolitica del Medio Oriente all’università Statale di Milano. Non è stupito - dice - che i colloqui di Roma siano terminati senza un accordo. «I negoziati continueranno e, in modo discreto, influenzeranno interessi e relazioni anche oltre il Medio Oriente». La posta in gioco, quando si parla di accordo sul nucleare iraniano, specie o in questo momento di guerre, è infatti altissima.
Gli attori e la posta in gioco
L’obiettivo dei negoziati è raggiungere una nuova intesa che impedisca all’Iran di sviluppare armi nucleari – un’intenzione che Teheran ha sempre negato – in cambio della revoca delle sanzioni internazionali, che da anni penalizzano gravemente l’economia del Paese e la vita di milioni di cittadini. Oggi più che mai, la questione nucleare si intreccia con una rete complessa di relazioni internazionali che coinvolgono, direttamente o indirettamente, attori come Israele, Russia, Siria e Cina. Un nuovo accordo rappresenterebbe un importante successo diplomatico per gli Stati Uniti e potrebbe contribuire a contenere l’espansione dei conflitti in Medio Oriente. Come spiega Giuseppe Acconcia, docente di geopolitica del Medio Oriente all’Università Statale di Milano: «Gli Stati Uniti puntano a ottenere un cessate il fuoco su più fronti e a rilanciare un accordo con l’Iran sul nucleare. Sarebbe un risultato storico, soprattutto se si considera che fu proprio Trump a ritirarsi unilateralmente dall’intesa firmata nel 2015 da Barack Obama. Per l’Iran, invece, un nuovo accordo servirebbe soprattutto a scongiurare un attacco diretto da parte di Israele», minaccia che - secondo recenti rivelazioni dell’intelligence americana - riguarderebbe in particolare le centrali nucleari iraniane.
Il ruolo di Israele
Non sorprende che Israele guardi con diffidenza alla ripresa dei colloqui tra Washington e Teheran, spiega ancora Giuseppe Acconcia. «Quando Trump ha annunciato, durante la visita del premier israeliano Netanyahu, l’intenzione di riaprire i negoziati sul nucleare, da parte israeliana è emerso subito un certo scetticismo». Una diffidenza che ha trovato conferma poco dopo, nel corso del recente viaggio di Trump in Medio Oriente. In quell’occasione, il presidente statunitense ha chiaramente indicato un cambio di priorità, evidenziando le divergenze con Tel Aviv: «Il presidente USA ha incontrato i leader di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, ma non è passato da Israele». Un gesto che ha evidenziato le divergenze su vari dossier: «Non solo quello sull’Iran, ma anche quello sulla Siria – dove gli USA hanno tolto le sanzioni al nuovo presidente, contro il parere israeliano – e quello sullo Yemen, dove è stato raggiunto un cessate il fuoco con gli Houthi, che Israele continua a considerare una minaccia attiva, alla luce anche dell’attacco all’aeroporto di Tel Aviv». Insomma, mentre Israele prosegue il conflitto su più fronti, compreso il Libano dove ci sono stati attacchi a Beirut e in Giordania, gli Stati Uniti si presentano come artefici della pace e della stabilizzazione della regione. «È una strategia coerente con l’obiettivo della Casa Bianca di disimpegnarsi progressivamente dal Medio Oriente, promuovendo cessate il fuoco e soluzioni pacifiche», osserva ancora Acconcia. Per questo, secondo l’esperto, è improbabile che gli Stati Uniti decidano un intervento militare contro Teheran in questa fase. «Nonostante la storica diffidenza dei repubblicani verso l’Iran, oggi vanno considerati nuovi fattori, come il cambiamento in Siria, che ha ridotto l’influenza iraniana a favore dei sunniti». Tuttavia, un’escalation improvvisa tra Israele e Iran non può essere esclusa, avverte Acconcia, ricordando i recenti lanci di missili tra le due parti avvenuti in ottobre e aprile. «Difficilmente Trump autorizzerebbe un attacco a Teheran in questa fase, soprattutto dopo il viaggio in Arabia Saudita e negli Emirati», due Paesi sunniti che, pur distanti dall’Iran sul piano ideologico, vedono con favore un’intesa sul nucleare, utile a stabilizzare i rapporti nella regione.
Il nodo delle discussioni
Come Israele, anche gli Stati Uniti, o almeno una parte dei repubblicani, vorrebbero la linea dura: zero arricchimento dell’uranio. «Il che significherebbe azzerare del tutto il programma nucleare iraniano». L’Iran invece chiede prima di tutto la rimozione delle sanzioni imposte da Trump durante il suo secondo mandato, e il proseguimento del programma nucleare civile. «Le due posizioni, quella USA e quella iraniana, sono difficilmente conciliabili. Non sorprende, quindi, che, nonostante Trump abbia dichiarato la scorsa settimana che l’accordo è vicino, la guida suprema iraniana, l’Ayatollah Khamenei, abbia parlato di una fase di stallo e di grandi difficoltà nel raggiungere un’intesa». L’altra linea rossa, ricorda l’esperto, è il programma missilistico iraniano, molto sensibile per Israele. «L’Iran intende portare avanti il suo progetto, ma ciò rende difficile il raggiungimento di un accordo».
Le riserve di uranio
In generale, come spiega l’esperto sono ancora molti i punti in sospeso. Tra questi, la collocazione delle riserve di uranio arricchito che l’Iran ha accumulato dopo il 2018. «Secondo alcune fonti, potrebbero essere trasferite in Russia, ma è un’ipotesi controversa, nonostante i legami tra Mosca e Teheran». Gli USA farebbero questa cessione al Cremlino? «Bisogna considerare che l’approccio di Trump verso Putin è stato molto diverso rispetto a quello del suo predecessore Joe Biden, anche riguardo al conflitto in Ucraina. L’accordo potrebbe quindi rientrare in un discorso più ampio sulle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Russia in vista di un auspicato cessate il fuoco in Ucraina da parte di Trump». Secondo l’esperto, un accordo sul nucleare iraniano che include garanzie da parte di Mosca non è quindi da escludere a priori.
In conclusione, secondo Acconcia, è difficile immaginare un esisto positivo dei negoziati a corto termine. Detto ciò, lo scetticismo di Khamenei non deve essere letto come una chiusura su tutta la linea: «Per quanto la decisione finale spetti effettivamente alla Guida Suprema, Khamenei ha interesse a mantenere una posizione di scetticismo, sia come leva negoziale, sia in chiave interna». Attualmente, molti attori in Iran – dal presidente al ministero degli Esteri – sono infatti favorevoli a un accordo. «Alcuni vorrebbero persino riaprire i rapporti economici con gli USA, coinvolgendoli nel programma nucleare civile e nella modernizzazione del settore petrolifero».