Il più grande sciopero di sempre nel settore automobilistico
E se, alla fine, gli operai incrociassero le braccia? Lo scenario, invero, è più che mai reale. Non solo, dovesse concretizzarsi si tratterebbe del più grande sciopero nella lunga, lunghissima storia del settore automobilistico americano. Riguarda, manco a dirlo, le cosiddette Big Three. Ovvero, il terzetto formato da Ford, General Motors e Stellantis, proprietaria del marchio Chrysler. Da un lato, il contratto collettivo che regola diritti e doveri dei lavoratori scadrà giovedì, oggi, a mezzanotte ora del Michigan. Dall'altro, il potente sindacato United Auto Workers (UAW) e i produttori di automobili, ieri, non avevano ancora raggiunto un nuovo accordo. Il tutto, come se non bastasse, nel mezzo del salone dell'auto di Detroit.
«Ci stiamo preparando a colpire queste aziende in una maniera mai vista prima» ha ammonito il presidente di UAW, Shawn Fain, secondo cui le posizioni del sindacato e dei produttori sono «molto distanti». Probabilmente troppo. Fain ha pure confermato che lo sciopero potrebbe diventare realtà venerdì mattina, in un numero limitato di fabbriche per poi estendersi, gradualmente, a seconda dell'andamento e dell'esito delle trattative fra i rappresentanti dei dipendenti e i dirigenti. Trattative, aggiungiamo, che vanno avanti da mesi. Invano.
L'organizzazione sindacale, nello specifico, chiede aumenti significativi dei salari per i suoi (circa) 150 mila membri. E questo facendo perno sui profitti record registrati dalle aziende. Il sindacato chiede aumenti salariali fino al 40%, in linea con quelli concessi ai dirigenti negli ultimi anni, con l'aggiunta di garanzie sulla sicurezza degli impieghi nell'ambito della transizione, per certi versi brutale e rischiosa, verso l'elettrico.
Il pessimismo, fronte sindacato, in queste ore è stato contrastato dai buoni propositi di Jim Farley, amministratore delegato di Ford, secondo cui la terza offerta recapitata a UAW non solo è quella giusta, ma anche la «più generosa» da ottant'anni a questa parte: comprende aumenti salariali, misure di protezione contro l'inflazione, diciassette giorni di ferie pagate e contributi pensionistici più elevati. D'altro canto, lo stesso Farley ha respinto altre richieste, come la settimana-tipo da 32 ore o quattro giorni. Una richiesta che, se esaudita, metterebbe a rischio la vitalità dell'impresa a suo dire.
La questione, inevitabilmente, ha finito per accendere anche la politica. Il sindacato, c'era da aspettarselo, ha ricevuto il sostegno del senatore Bernie Sanders, considerato di sinistra radicale per gli standard americani. Venerdì, Sanders parteciperà a una manifestazione nel centro di Detroit. Proprio per sostenere i lavoratori del settore automobilistico.
Anche Donald Trump, da destra, sta alimentando il vento della polemica sul (mancato, per ora) accordo. L'ex presidente, nuovamente candidato alla Casa Bianca per il Partito Repubblicano, ha esortato i membri di UAW a fare «dell'abrogazione completa e totale del folle piano sui veicoli elettrici di Joe Biden» la loro «richiesta principale e non negoziabile». Il rischio, agli occhi del tycoon, è che l'industria automobilistica americana andando appresso a Biden cessi di esistere. E, di riflesso, che «tutti i posti di lavoro saranno trasferiti in Cina». Biden, per la cronaca, insiste affinché la metà delle auto vendute negli Stati Uniti, nel 2030, sia a emissioni zero (quindi elettriche o a idrogeno) o a basse emissioni (ibride).