Il presente dei social media, cristallizzato e dilatato

C’è una corsa a rimuovere, a dimenticare, a cambiare le carte in tavola nel mondo dei social network nella decisione presa da Mark Zuckerberg di cambiare nome a Facebook, per andare verso un futuro dentro i social «più immersivo». Cosa realmente accadrà non lo sa ancora nessuno. Ma le cifre dell’operazione sono già state rese note: 50 milioni di dollari di investimento e 10 mila dipendenti in Europa. Per fare cosa? Soprattutto per far dimenticare i pasticci degli ultimi anni: da Cambridge Analytica in poi. Per ridare alla società di Menlo Park una nuova veste, un «rebranding» dicono loro, uno scordarsi un passato che qualche volta ci ha lasciato almeno perplessi, e su cui è uscito un libro proprio in questi giorni (vedi scheda).

Quel qualcosa che non torna
Ma per quanto si possa provare ad andare avanti, a far evolvere questi social di cui quasi nessuno riesce più a fare meno, qualcosa non torna mai. Sono come bloccati. Sono cristallizzati in un presente continuo, non portano mai veramente da nessuna parte. Da quando i social network, Facebook per prima cosa, sono diventati i nostri compagni di viaggio nella vita di ogni giorno, il futuro sembra dissolversi in un oggi dilatato e gigantesco. Come un gigante incapace di muoversi, che occupa tutto. È il dramma dei social quando annullano e cancellano distanza e vicinanza, passato e presente. Per cui non basta chiamare tutto Horizon, come sembra voglia fare Zuckerberg stando alle indiscrezioni circolate negli ltimi giorni, per svecchiare questo mondo di post e di connessioni.
La lezione di Umberto Eco
C’è una vecchia storia, di quando i social non esistevano, che Umberto Eco racconta nel suo Secondo Diario Minimo: «Salvatore lascia all’età di vent’anni il paese natio per emigrare in Australia, dove vive in esilio per quarant’anni. Poi, sessantenne, raccolti i suoi risparmi, torna a casa. E mentre il treno si avvicina alla stazione, Salvatore fantastica: ritroverà i compagni, gli amici di un tempo, nel bar della sua gioventù? Lo riconosceranno? Gli faranno delle feste, gli chiederanno di raccontare le sue avventure tra i canguri e aborigeni, avidi di curiosità? E quella ragazza che...? E il droghiere dell’angolo? E cosi via... Il treno entra nella stazione deserta, Salvatore scende sul marciapiede battuto dal gran sole meridiano. Lontano, ecco un omino curvo, inserviente delle ferrovie. Salvatore lo guarda meglio, riconosce quella figura malgrado le spalle ingobbite, il viso segnato da quarant’anni di rughe: ma certo, è Giovanni, l’antico compagno di scuola! Gli fa un segno, si avvicina trepidante, indica con la mano tremante il proprio volto come per dire: “Sono io”. Giovanni lo guarda, sembra non riconoscerlo, poi alza il mento in un gesto di saluto: “Ehi, Salvatore! Che fai, parti?”». I social sono un po’ la stessa cosa. Nessuno resta e nessuno parte. Tutti abbiamo esattamente presente quello che fanno le persone che non vediamo da anni, ma di cui possiamo sapere tutto. Scopriamo che il compagno di scuole impegnato politicamente a sinistra è diventato un vigoroso reazionario, che il figlio del professionista assai ricco ha aperto una comunità in India e predica la povertà e la semplicità. Vediamo come sono cambiati i volti, le espressioni. Scopriamo faccende personali di gente che non vedi da quarant’anni. La storiella che racconta Eco è la realtà di oggi. Non è più un paradosso. Siamo tutti incapaci di partire, e dunque di cercare nuovi orizzonti.
Orizzonti perduti
Oggi Zuckerberg ha deciso che ne abbiamo bisogno, che vanno raggruppati tutti i social: Instagram e anche WhatsApp in una piattaforma che ci faccia capire meglio. Ma che non ci porta da nessuna parte. Restiamo tutti lì, sul predellino del treno con una valigia vuota, per sentirci dire dal ferroviere, vecchio compagno di scuola che non ci vede da decenni, ma che ci segue su Instagram, o magari guarda soltanto il nostro profilo: «Ehi Salvatore, ma poi quella torta alle albicocche era venuta bene l’altro ieri?». Poteva anche essere una torta infornata se mesi fa a Sidney, poco importa. Era lì, visibile dallo smartphone, sul binario 5 della piccola città di provincia. Se annulli le distanze annulli il tempo, e annulli gli orizzonti, quelli veri. Se annulli il tempo sei condannato al presente. E poi ci lamentiamo dei politici e diciamo, parafrasando Alcide De Gasperi: «un politico pensa all’oggi, uno statista alle prossime generazioni». Se non provvederemo in qualche modo cominceremo anche ad avere difficoltà di pensarlo il nostro futuro, di immaginarlo. E da molte irresponsabilità che corrono per il mondo in questi ultimi anni ci appare assai evidente. Ora il grande capo di tutte le comunità social del mondo ci vorrebbe restituire l’orizzonte. Da quanto si apprende anche attraverso i suoi Oculus, gli occhiali che produce per la realtà virtuale. Che sia ancora una volta un orizzonte soltanto virtuale?