La testimonianza

Il Principato ai tempi del coronavirus

Pochissimi contagi, un solo decesso e, all’orizzonte, un programma per prevenire la seconda ondata: Chris Sampietro, un ticinese che lavora a Vaduz, ci racconta come il Liechtenstein sta gestendo l’emergenza
© Keystone/Peter Klaunzer
Marcello Pelizzari
25.04.2020 11:33

«Almeno posso andare a lavorare in jeans». Chris Sampietro non ha perso l’ironia. Al contrario, in perfetto dialetto ci racconta perché – fondamentalmente – l’emergenza coronavirus non ha cambiato il volto di Vaduz e del Liechtenstein: «Gh’eva ’n gir nisün anca prima». Già, la capitale non arriva a 6 mila abitanti mentre l’intera popolazione del Principato, un fazzoletto di terra circondato da Svizzera e Austria, è di poco inferiore alle 40 mila unità. Tradotto, la situazione è sotto controllo: 81 contagiati e un solo deceduto, una persona anziana, ad oggi secondo i dati della Johns Hopkins University. «Sono stati fatti tantissimi tamponi in rapporto al numero di abitanti» prosegue Sampietro. «L’unico ospedale, invece, è stato potenziato. Prima della pandemia i posti in cure intense erano solamente cinque. Adesso sono quarantacinque. Per il resto, la vita al di là del lockdown va avanti come sempre. Le autorità hanno dato direttive simili a quelle elvetiche: bisogna lavarsi le mani, tenere le distanze e via discorrendo». Per tacere dei braccialetti biometrici (ci arriveremo in seguito).

Il frontalierato

Se la tranquillità del Liechtenstein dall’esterno può sembrare scontata, beh, il discorso cambia se consideriamo il rapporto (stretto) con i Paesi limitrofi e il conseguente rischio sanitario. Parliamo di frontalieri, sì. Nel 2017 erano 21.299, il 55% degli occupati. «Ora, con il fatto del tutto chiuso, ne entrano di meno» prosegue Sampietro. «Io stesso, ad ogni modo, sono un frontaliere. Vivo a Wollerau, nel Canton Svitto, ad una cinquantina di minuti in auto da Vaduz». Il nostro interlocutore da dodici anni lavora per la LGT, la banca della casa regnante. «Per poter entrare nel Liechtenstein, queste settimane, ho bisogno di una dichiarazione speciale firmata dal mio datore di lavoro. Gran parte dei frontalieri, appunto, ha fatto ricorso all’home office. Io invece vado in ufficio, ma ci vado in jeans. È una novità assoluta, per noi abituati al completo. Nel settore in cui sono impiegato, infatti, il rapporto con il cliente può essere mantenuto anche a distanza». Il settore bancario, prosegue Chris, sta reggendo il colpo. «È vero, qualcosa in futuro perderemo ma le banche non sono come una gelateria o una calzoleria. Loro vendono fisicamente un prodotto, hanno per forza di cose bisogno che il cliente entri in negozio. Tornando a noi, chissà, in futuro potremmo orientarci sempre di più verso il lavoro da casa».

Il divertimento non esiste

Vaduz, dicevamo, è una città lontanissima dalla movida o da qualsiasi forma di divertimento. «In tempi normali – spiega Sampietro – tornavo a casa non appena finivo di lavorare. Vaduz non è mai stata piena di vita, diciamo. A suo tempo, le giornate erano scandite dall’arrivo dei bus. Parlo delle comitive di turisti cinesi. Ne arrivavano anche sei-sette al giorno. Si fermavano pochissimo, giusto il tempo di fare un giretto, comprare un orologio e poi via verso Lucerna e Interlaken. Adesso si parla di riaprire qualcosa l’11 maggio. Lo spero, perché mi mancano i pranzi al ristorante: portarsi la schisceta l’è mia ‘l masim. Detto ciò, la cosa interessante è che le autorità per non danneggiare nessuno vorrebbero una riapertura generalizzata e non scaglionata. Staremo a vedere».

I dati biometrici

Ecco, le autorità. Stanno lavorando, senza sosta, in vista della seconda ondata di contagi. Prevista in autunno. Tant’è che il 16 aprile hanno varato un programma sperimentale, basato su un braccialetto biometrico. Lo indossa, in media, un abitante su venti e invia i parametri corporei (fra cui ovviamente la temperatura) ad un laboratorio d’analisi in Svizzera. In seguito, i braccialetti verranno offerti all’intera popolazione secondo quanto dichiarato da Mauro Pedrazzini, ministro degli affari sociali. Un sistema piuttosto invasivo per tenere traccia di possibili, nuove catene di contagio.

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