Il Tesla Bot di Elon Musk, un umanoide un po’ troppo umano

I robot che sostituiscono gli esseri umani nei lavori più ripetitivi, faticosi e alienanti: un sogno antichissimo, che Elon Musk ha attualizzato presentando al mondo il suo Tesla Bot, umanoide il cui prototipo nascerà nel 2022 e che negli anni successivi potrebbe far parte della nostra quotidianità. Ma sarà vero?
Fine del lavoro
Come al solito le parole del fondatore di Tesla e SpaceX sono interessanti almeno quanto i suoi prodotti. A Palo Alto, durante l’AI Day, Musk ha sostenuto che il Tesla Bot dovrebbe sostituire buona parte dei lavori oggi svolti dagli umani: «Penso che essenzialmente in futuro il lavoro fisico sarà una scelta, se vuoi farlo puoi». In futuro, appunto. Perché nel presente l’umanoide mostrato al mondo è un attore-ballerino che indossa una tuta somigliante al futuro robot in produzione. Insomma, una recita, per non dire una farsa, ad uso dei media e di un popolo di Musk che per certi aspetti ricorda quello di Steve Jobs. Anche se il fondatore di Apple non ha mai annunciato un prodotto prima della definizione di ogni suo particolare.
In teoria il Tesla Bot si basa sull’esperienza di Tesla con le automobili senza guidatore, hardware e software del sistema Autopilot sono quindi già una realtà concreta da cui partire. Ma è chiaro che le sembianze umane cambiano di molto la percezione da parte del pubblico ed infatti Musk ha fatto sognare tutti alla sua maniera: «Il Tesla Bot sarà buono e vivrà in un mondo a misura d’uomo, eliminando lavori pericolosi e ripetitivi». Purissima ideologia da Silicon Valley: non basta essere innovativi, geniali e guadagnare miliardi, ma devi anche sembrare buono. Chi non ricorda il ‘‘Don’t be evil’’, non essere malvagio, della Google delle origini? In realtà il Tesla Bot non sarebbe né buono né cattivo, perché l’automazione delle fabbriche, con annessa retorica sulla ‘‘fabbrica 4.0’’, progredisce a prescindere dalle sembianze umane delle macchine.
La corsa dell’umanoide
Il Tesla Bot presentato giovedì è alto 1,70 e pesa 56 chili, ma più che dati tecnici queste ci sembrano le misure di chi indossava la tuta fornita da Musk. Fra l’altro è stato detto che l’umanoide correrà ad una velocità massima di 8 chilometri all’ora. Che è poco più che camminare. Come minimo il Tesla Bot è però una formidabile arma di distrazione di massa messa in campo da mister Tesla: dal punto di vista del marketing far credere a clienti e investitori che tutto è così avanzato che addirittura alla guida delle Tesla andranno umanoidi suona rassicurante, un bello spot per il discusso Autopilot. Il Tesla Bot non ha comunque un vero concorrente, per la semplice ragione che il robot con fattezze umane più avanzato, Atlas prodotto dalla Boston Dynamics, visti i costi ha soltanto sbocchi industriali.
Tante parole, ma poi ci sono i prodotti. E a essere nel mirino, fra quelli di Tesla, non è il robottino-ballerino ma proprio il sistema Autopilot. L’NHTSA, l’ente federale degli Stati Uniti preposto alla sicurezza delle autostrade, ha infatti nei giorni scorsi avviato un’indagine formale nei confronti di Tesla e del suo sistema di guida automatica, che in alcuni casi (11 quelli verificati) ha evidenziato un problema non da poco: i veicoli Tesla con l’Autopilot inserito avrebbero infatti colpito altri veicoli, come le ambulanze, parcheggiati in luoghi non previsti. Va precisato che Autopilot, che costa l’equivalente di oltre 8.000 franchi, non significa che l’umano alla guida della Tesla possa dormire, come purtroppo a volte è avvenuto, perché anche la stessa Tesla invita ad intervenire in situazioni di emergenza.
Google e gli altri
La vera posta in palio non è insomma la diffusione di un robot giocattolo o di un maggiordomo senza stipendio, ma la credibilità del sistema Autopilot ed in generale dei sistemi di guida automatica. Che le grandi case automobilistiche tradizionali guardano con sospetto, anche soltanto per le implicazioni legali, mentre in campo ci sono al momento due colossi: Tesla, appunto, e Waymo, emanazione di Alphabet-Google. Qualche mese fa l’allora amministratore di Waymo, John Krafcik, definì in maniera sprezzante l’Autopilot «un buon sistema di assistenza alla guida», ma nulla di vicino alle auto a guida autonoma sviluppate da Google, peraltro nemmeno loro esenti da critiche. Un concetto ripreso dai due senatori democratici che hanno accusato Tesla di pubblicità ingannevole. In altre parole, lo show con al centro il Tesla Bot è stato funzionale soprattutto alla vecchia Tesla. Perché l’azienda ha sì iniziato a guadagnare soldi dalla gestione corrente, ma il suo modello di business ha alla base non soltanto le auto elettriche, che producono in tanti (ormai tutti), bensì l’ottimismo. Perché è solo l’ottimismo a spiegare come ieri il suo rapporto prezzo/utili fosse un clamoroso 170, quando la media del settore automotive è di 14 e quella delle 500 società dell’indice Standard and Poor’s di 22. Il confronto impressionante è però quello con il rapporto prezzo/utili di altri giganti tech: Amazon 55 Apple, Facebook a Alphabet tutte e tre in zona 29. Tanto, tantissimo, ma niente in confronto alle aspettative generate da Musk e dai suoi annunci.
Da Leonardo a Sophia. tutti i progressi fra scienza e spettacolo
Un essere totalmente artificiale con sembianze umane, cioè un androide: il sogno è antichissimo, basti pensare ai tanti riferimenti mitologici, ma per i primi progetti il mondo ha dovuto aspettare il solito Leonardo Da Vinci. O forse no. Nel Codice Atlantico e in altre raccolte di lavori di Leonardo ci sono disegni per la costruzione di un cavaliere meccanico, con tanto di armatura, in grado di muovere braccia e gambe. Non risultano però prototipi fisici, quindi in realtà questi progetti valgono quanto quelli circolanti per buona parte del Medio Evo, con la storia della scienza che per l’ennesima volta si mescola al campanilismo: il primo automa può così a seconda della fonte essere arabo, cinese, tedesco, eccetera. La realtà è che i primi automi funzionanti senza trucchi sono relativamente recenti e merito dello scienziato francese Jacques de Vaucanson, che grazie anche ai finanziamenti di Luigi XV riuscì nel 1737 a proporre il suo suonatore di flauto. Anche se le sue opere più famose rimangono l’anatra digeritrice e soprattutto il telaio meccanico. Da lì in poi la scienza e lo spettacolo - visto che fino a poche decine di anni fa gli automi hanno avuto soltanto funzioni di intrattenimento (leggendario quello di Houdini) - hanno portato a grandi progressi, in mezzo a truffe come il famoso Turco di Von Kempelen, giocatore di scacchi che al suo interno aveva ben nascosto un giocatore di scacchi in carne e ossa. Chiaramente la robotica, termine entrato in uso negli anni Venti del Novecento, è un’altra cosa ed è l’antenata diretta del Tesla Bot, con il 1954, anno della produzione del primo vero robot, programmato dallo statunitense George Devol, a segnare uno spartiacque. L’intelligenza artificiale ha fatto e sta facendo il resto, fino alla donna-robot Sophia, presentata nel 2016 e adesso cittadina saudita. Ma anche nella scienza la forma è sostanza e nel 2021, con sistemi di guida automatici che sono una realtà da anni, ancora ci impressioniamo se un umanoide ci porta un vassoio con un bicchiere d’acqua.
Da Frankenstein a Hal 9000
Da decenni robot con fattezze più o meno umane ispirano letteratura e cinema, con trame diverse ma seguendo una sorta di pensiero unico: le macchine prima o poi prenderanno il controllo. Il primo grande esempio è quello del Frankenstein del romanzo di Mary Shelley, che al cinema avrà per sempre il volto di Boris Karloff. I robot sono presentissimi nei libri di Isaac Asimov, che ha sempre mantenuto il confine dell’etica: gli esseri umani ce l’hanno, le macchine no. Una prospettiva che non è quella di 2001: Odissea nello spazio, il celeberrimo film di Stanley Kubrick in cui il computer Hal 9000 non è certo un umanoide ma prova emozioni fin troppo umane. Il punto d’arrivo è sempre il conflitto, e un esempio recente è quello di Matrix, dei fratelli Wachowski. Alla fine ci piace credere che il robot possa diventare come noi ed è per questo che il Terminator di Arnold Schwarzenegger - rivisto recentemente anche al Locarno Film Festival - è doppiamente immortale. Come la Caterina del film di Alberto Sordi (appunto Io e Caterina, del 1980).