Il vero champagne? È solo russo

La notizia risale a venerdì. Vladimir Putin, proprio lui, ha dato il via libera a un emendamento destinato a far discutere. In Russia e, soprattutto, in Francia. Banalmente, la legge sulla regolamentazione delle bevande alcoliche è stata modificata. Testo alla mano, da Kaliningrad a Vladivostok soltanto i produttori russi avranno il diritto (e il privilegio) di mostrare il nome «champagne» sulle bottiglie. Gli altri, quelli che arrivano da fuori, potranno al massimo puntare a un terribile «vino spumante». Bollicine amare, già. L’emendamento, in particolare, non considera minimamente la protezione della denominazione francese «Champagne AOC».
Un mercato importante
Le reazioni, in Francia, non sono mancate. Moët-Hennessy, per il fine settimana appena trascorso, ha sospeso le esportazioni verso la Russia. In una lettera destinata ai suoi clienti russi, alla quale ha avuto accesso il quotidiano economico Vedomosti, il gruppo francese ha annunciato il nuovo corso. Tradotto: dobbiamo procedere con una nuova certificazione dei prodotti e l’intera operazione ci costerà diversi milioni di rubli. Urca. Alla fine, avranno pensato, meglio piegarsi alle richieste di Putin che perdere un mercato del genere. Per dire: la Russia ogni anno importa qualcosa come 50 milioni di litri fra spumante e champagne. E il 13% arriva dalla Francia, con il marchio Moët-Hennessy che da solo vale il 2%.
Fra abitudini e Stalin
L’emendamento, in un certo senso, è la diretta conseguenza di un’abitudine oramai radicata. In Russia il termine «champagne» è usato senza complessi di sorta e senza distinzioni per tutti i vini frizzanti. Alla fine degli anni Trenta, ad esempio, Stalin fece creare uno champagne «sovietico». E lo fece produrre in massa, perché tutti i compagni potessero beneficiarne e, allargando il discorso, perché si sentissero un po’ occidentali. Quantomeno per il tempo di un bicchiere.
Caduta l’Unione Sovietica, lo champagne autoctono è stato declassato a spumante di bassa lega sebbene popolarissimo. Soprattutto nelle occasioni speciali. E, dicevamo, è stato chiamato champagne anche dopo la caduta del comunismo. Un fatto mai digerito dai produttori francesi, difesi dal Comitato interprofessionale del vino di Champagne (CIVC) e da anni in guerra contro tutto e tutti nel mondo per difendere questa denominazione controllata.
L’amore di Putin per le bollicine
Ora, le autorità russe vorrebbero ridare valore e dignità ai produttori locali. In particolare quelli della Crimea, che hanno conosciuto una seconda giovinezza dopo l’annessione della penisola nel 2014 e la piena apertura al mercato di Mosca. Non è un caso, figuriamoci, se la marca faro – Novy Svet – appartiene a un amico di Putin, l’uomo d’affari Yury Kovalchuk. Amante ed esperto di viticoltura, il presidente russo lo scorso gennaio aveva fatto esplodere le quotazioni di un altro gigante del mercato interno, Abrau-Durso. E come? Semplicemente, affermando che dopo la sua carriera politica avrebbe lavorato volentieri in questa azienda.