Cinema

«Il vero orrore non è il lupo, ma la nostra incapacità di conviverci»

Presentato al St. Moritz Art Film Festival, Paraflu di Invernomuto affronta il ritorno del lupo tra mito, paura e politica, toccando un tema che divide anche il Ticino, dove le predazioni sono in aumento e il dibattito resta acceso
Mattia Sacchi
23.08.2025 16:15

Il lupo è tornato, come un’ombra antica che riemerge nei paesaggi alpini e nei racconti delle comunità. Non è soltanto un animale: è un simbolo che divide, spaventa, affascina. Dalle valli bergamasche, dove Paraflu è stato girato, fino al Ticino, dove negli ultimi mesi gli attacchi agli animali da allevamento sono quasi raddoppiati, la sua presenza si intreccia con le paure collettive e con le domande sulla convivenza tra l’uomo e il selvatico. È in questo scenario che il film di Michela de Mattei e Invernomuto – il duo formato da Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi – ha debuttato questa mattina al St. Moritz Art Film Festival, portando in quota un dibattito che riguarda tutti.

Paraflu esplora la figura del lupo come simbolo di conflitto e di metamorfosi, come creatura capace di depistare e di sfuggire, ma anche come specchio delle nostre fragilità. Il titolo richiama un episodio reale e crudele: un branco sterminato con l’antigelo, gesto che rivela quanto fragile sia il rapporto tra comunità e natura. «Il film nasce da un’urgenza personale», racconta Trabucchi. «Tornando nel mio paese d’origine, sulle colline tra Milano e Bologna, un amico cacciatore mi ha mostrato le immagini delle fototrappole. I lupi erano ricomparsi, e con loro il senso di essere osservati. Alcuni abitanti dicevano di non sentirsi più tranquilli la sera. È lì che ho percepito la dimensione horror, non tanto nel pericolo reale, quanto nell’eco delle paure inconsce che il lupo risveglia».

Girato in 16mm per restituire un’estetica materica, sospesa, il film alterna piani realistici e momenti più astratti. Le immagini delle montagne e dei villaggi si intrecciano a un montaggio che volutamente disorienta, amplificato da un voiceover costruito attraverso voci sintetiche ispirate a registri diversi, dal tono illusionistico a quello filosofico. Lo spettatore è spinto a smarrirsi, a confrontarsi con i propri immaginari, in un gioco di specchi che rispecchia l’arte stessa del depistaggio.

«La nostra idea era partire da un fatto di cronaca – il veleno, l’odio per l’animale – e trasformarlo in un caleidoscopio di temi», spiega Trabucchi. «Il selvatico che resiste, la paura primordiale che diventa strumento politico, il rapporto tra spettatore e immagine. Il lupo è un predatore senza predatori, in cima alla catena alimentare, e per questo inquieta. Non è vero che attacca l’uomo, quella è una leggenda. Ma è vero che si avvicina sempre di più alle città: la convivenza è tutta da ripensare».

Un discorso che risuona con forza anche in Ticino. Secondo i dati ufficiali, nel 2025 i casi di predazione sarebbero già quasi quaranta, il doppio rispetto allo scorso anno. Sono stati identificati cinque branchi stabili e sei coppie, e il tema è entrato con forza nell’agenda politica. In luglio il Consiglio di Stato ha autorizzato l’abbattimento di un lupo responsabile di attacchi ad Arosio, una decisione che ha acceso le polemiche. Le stesse tensioni che il film racconta – paura, vendetta, incomprensione – si ripresentano dunque anche qui, a pochi chilometri dai luoghi del festival.

«Non credo che l’abbattimento sia la risposta», osserva Trabucchi. «Il lupo è già stato scacciato eppure è tornato, perché le condizioni ambientali sono cambiate. Pensare di controllare del tutto la natura è un’illusione. Esistono biologi e tecnici che lavorano benissimo con strumenti come le fototrappole o il wolf howling, e andrebbero sostenuti. Il selvatico non si elimina, si impara a conviverci».

Paraflu si muove tra documentario e suggestione visiva: mostra giovani pastori che affrontano il ritorno del predatore, cacciatori divisi tra rispetto e gestione, comunità che oscillano tra fascinazione e paura. L’immaginario horror evocato non riguarda il sangue, ma l’inconscio: «È la sensazione di essere osservati nel buio», spiega l’artista. «Il lupo diventa così una metafora di tutto ciò che sfugge al nostro controllo».

Il St. Moritz Art Film Festival ha accolto il film come uno specchio delle contraddizioni del presente. «Il clima qui è molto piacevole, familiare», dice Trabucchi. «È bello poter vedere i film con calma e discuterne. Portare questa storia in Engadina, tra le montagne, mi sembra significativo: ogni territorio alpino conosce la tensione tra uomo e natura. Ogni luogo ha il suo lupo, reale o immaginario».

Per Invernomuto si apre una stagione intensa. Dopo l’anteprima svizzera di Paraflu, il duo sarà a Venezia con una nuova opera e ha appena concluso un progetto a Ginevra con la comunità boliviana. «È un momento fertile», conferma Trabucchi. «Ogni lavoro è l’occasione per aprire nuove domande. Il lupo ci ha permesso di riflettere su paura, politica e memoria. Domani sarà un altro tema, ma sempre con lo stesso sguardo: verso ciò che sfugge al controllo, verso ciò che resta selvatico».

Alla fine della proiezione, resta l’impressione che Paraflu non racconti solo i branchi lombardi ma anche noi. La paura che suscita un animale che sfugge alle regole diventa specchio della difficoltà umana ad accettare la natura come interlocutore, e non come nemico. Nel buio della sala, il lupo sembra ricordarci che il vero orrore non è la sua presenza, ma la nostra incapacità di conviverci.