Spazio

Il volo di Starship dura pochi minuti, «Ma è stato comunque un successo»

Il più grande razzo mai costruito è stato fatto esplodere dai tecnici poco dopo il decollo dalla torre di lancio: la causa è la mancata separazione dei due stadi - Elon Musk giudica positivamente il test
©ABRAHAM PINEDA-JACOME
Emilio Cozzi
Emilio Cozzi
20.04.2023 21:30

Il suo viaggio è durato quasi    quattro minuti (3’59’’ per la precisione). Poi, raggiunta una quota di circa 39 chilometri, il nuovo mezzo spaziale Starship di SpaceX ha perso la sua traiettoria nominale - quella «corretta» - e ha cominciato a roteare in modo scomposto. A quel punto, come da protocollo di sicurezza, è stato fatto esplodere manualmente dal centro di controllo di Hawthorne, in California.

Rimettere insieme i pezzi

Era partito, fra l’entusiasmo dei tanti spettatori sul posto e in diretta, alle 8.33 ora locale da Starbase, vicino a Boca Chica, in Texas. Adesso, per fare in modo che il prossimo test, previsto entro fine anno, venga superato, occorrerà aspettare l’analisi dei dati e che il personale di SpaceX rimetta insieme, letteralmente, i pezzi. A quanto reso noto finora, sembra però che la causa del «failure» sia da imputare alla mancata separazione dei due stadi in volo e al malfunzionamento di otto dei 33 motori Raptor 2 di cui era equipaggiato il razzo Falcon Heavy, il primo stadio del sistema di lancio.

Starship rimane comunque il sistema più potente mai costruito staccatosi da una rampa e capace di superare il cosiddetto Max Q, il momento di massimo stress aerodinamico, raggiunto 55 secondi dopo la partenza. Non poco per un mezzo alto complessivamente 119 metri (cioè 26 in più della Statua della Libertà, piedistallo compreso) e con una massa al decollo di 5 mila tonnellate. Composto dall’astronave vera e propria, Starship - deputata in futuro al trasporto di cose e persone -, e dal razzo Super Heavy, il sistema sviluppa a terra una spinta di oltre settemila tonnellate, superiore a quella del glorioso Saturn V, che portò Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla Luna nel 1969, e quasi doppia rispetto a quella dello Space Launch System, usato dalla NASA per spedire oltre l’atmosfera la missione Artemis I.

Un tentativo importante

Sebbene Musk non sia sembrato contento, alla vigilia del test era stato lui il primo a sottolineare come la possibilità di successo non andasse oltre il 50%. Qualche danno alla torre di lancio, la poderosa struttura indicata come «Mechazilla», costata un miliardo di dollari, avrebbe subito qualche lieve danno. Il test era e rimane comunque fondamentale non solo per SpaceX: con un appalto di poco inferiore a tre miliardi, la NASA ha già affidato a una versione modificata di Starship il ruolo di lander della missione Artemis III, quella deputata a portare la prima donna e il prossimo uomo sul suolo selenico, a più di cinquant’anni dall’ultima missione Apollo, del dicembre del 1972.

Non solo: mentre SLS appartiene alla generazione dei lanciatori «a perdere» e brucia circa quattro miliardi di dollari a ogni decollo, una volta a regime Starship verrà integralmente recuperato, per poi essere riutilizzato più e più volte allo scopo di abbassare i costi di accesso all’extra-atmosfera e rendere economicamente sostenibile l’esplorazione della Luna, prima, e di Marte, poi. Numeri alla mano, ogni confronto sarebbe impietoso: mentre con SLS portare ogni chilogrammo oltre l’atmosfera costa circa 50mila dollari, Elon Musk sostiene che Starship arriverà a 100 dollari, un valore destinato a sbaragliare la concorrenza, già oggi minacciata dalle capacità dei più piccoli Falcon 9, capaci di abbattere i costi a meno di tremila dollari al chilo.

Non tutto da rifare, quindi. Adesso però SpaceX sarà costretta a dimostrare per l’ennesima volta l’efficacia della propria filosofia, negli anni recenti capace di rivoluzionare l’approccio al settore: «Test, fly, fail, fix, repeat», recita il motto aziendale, una rievocazione del più classico «fallisci velocemente per vincere più rapidamente». La posta in gioco è alta: su Starship si basa buona parte del futuro dell’azienda per mettere in orbita la costellazione Starlink di seconda generazione, per soddisfare i turisti che hanno già prenotato e pagato i viaggio di circumnavigazione della Luna e per tenere fede agli impegni con la NASA. Proprio dall’agenzia spaziale statunitense è arrivato un incoraggiamento, a sottolineare come il test sia di parziale successo: «Solo grandi rischi implicano grandi ricompense» ha commentato via Twitter Bill Nelson, l’amministratore della NASA, quasi a consolare Musk e il suo staff.

Nel frattempo, a Starbase, la produzione dei prototipi non si è interrotta ed è già pronta la prossima coppia di stadi: il Booster 9 e la Ship 26, una particolare versione priva sia di ali sia di scudo termico.Nei prossimi giorni i tecnici saranno impegnati ad analizzare l’enorme mole di informazioni acquisita durante il test. È possibile decidano di apportare subito alcune modifiche ai prossimi prototipi. Il tempo corre. E il mondo vuole la Luna.