Improbabile e ingannevole: ecco perché la Francia vuole oscurare Wish

Wish. In inglese, significa desiderio. Ma anche volere, volontà. E l’omonima piattaforma di e-commerce, dal 2010, quando venne fondata a San Francisco, di quello si occupa: soddisfare i desideri della gente. A prezzi stracciati e, soprattutto, nel più breve tempo possibile. Tutto molto bello. Tuttavia, sin dai primi vagiti si è posta una questione. Di non poco conto. La qualità dei prodotti offerti.
Nello specifico, Wish ha un problema in Francia. Grosso così. In un contesto di per sé poco favorevole – più volte sono state denunciate frodi e più volte la merce in vendita è stata giudicata pessima, per non dire pericolosa – il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, ha addirittura dichiarato di considerare l’oscuramento del sito a livello di Esagono.
Nessuno è al di sopra della legge
Wish, va da sé, per certi versi se ne frega. Dopo l’orgia di shopping legata al Black Friday, la piattaforma punta a cifre da capogiro per Natale. La pandemia, i confinamenti e le chiusure dei negozi fisici, beh, hanno fatto il resto. Spingendo sempre più persone a rifugiarsi negli acquisti online. Mercoledì scorso, però, è arrivata una prima mazzata: le autorità francesi antifrode hanno richiesto che il sito venisse dereferenziato. Tradotto: niente Wish fra i risultati di ricerca di un motore, Google compreso. Le Maire, lunedì, si è spinto oltre. I motori che non rispetteranno tale richiesta saranno perseguibili. E Wish, qualora le offerte non rispettassero le norme di tutela dei consumatori, potrebbe benissimo essere bandito. «I giganti digitali non sono al di sopra della legge» ha detto ai microfoni di France 2.
La fiera dell’assurdo
Wish, con il passare del tempo, è diventato un negozio dell’improbabile. Vi si trova di tutto. Dalla balestra che tira stuzzicadenti ad assurdi giocattoli erotici. E i prezzi, come detto, sono bassi. Bassissimi. Il rischio di lasciarsi attrarre da quelle cuffie bluetooth ad appena 9 euro è alto. Come alta è la probabilità che l’oggetto, dopo un po’, si rompa. All’apparenza, ogni problema ha una soluzione: i funghi alle unghie dei piedi, la perdita di capelli, perfino le dimensioni del pene. Wish ha il prodotto giusto per qualsiasi richiesta.
Stravagante, eccessivo, bizzarro. Sono alcuni degli aggettivi usati per descrivere la piattaforma. Ora si è aggiunto fraudolento. O, se preferite, ingannevole. Wish continua a guadagnare utenti e traffico. Sono 100 milioni i clienti e 500 mila i rivenditori. Il segreto del successo? Gran parte della merce in vendita proviene dalla Cina. Per questo costa poco. Le cifre d’affari, però, sono clamorose: nei primi nove mesi del 2020 Wish avrebbe generato un fatturato di 1,75 miliardi di dollari. Certo, bisogna pure considerare le perdite (176 milioni nei primi tre mesi del 2020) dovute, leggiamo su Libération, a massicci investimenti di marketing.
Reputazione in declino
La reputazione, per un sito di e-commerce, è molto. Se non tutto. E quella di Wish, date simili premesse, non può che essere pessima. L’Associazione dei consumatori, in Francia, si era scagliata contro il colosso già nel 2018. Denunciando pratiche a tanto così dall’illegalità e offerte poco trasparenti. Sui social, YouTube in testa, si sprecano video e commenti di clienti. Il guaio, sottolineano i consumatori, è proprio la qualità. Su 140 prodotti venduti sul sito e analizzati dalle autorità francesi, diversi sono risultati non conformi. Il 90% degli apparecchi elettronici è considerato pericoloso, lo stesso dicasi per il 62% della bigiotteria e del 45% dei giocattoli. Un disastro.
Google, ad ogni modo, nella mattinata di lunedì ha avviato le operazioni per dereferenziare Wish e per rimuovere – parliamo sempre della Francia – l’app dal suo store. La piattaforma, per contro, ha fatto sapere di conformarsi sempre e comunque alle richieste delle autorità di ritirare i prodotti considerati pericolosi, pur non avendo nessun obbligo legale di effettuare controlli sulla merce in vendita. Allo stesso tempo, ha annunciato di voler adire le vie legali poiché giudica sproporzionata la richiesta di dereferenziare il sito.
Cosa dice la legge
A proposito di obblighi legali, l’intenzione dei regolatori è quella di vincolare i colossi dell’e-commerce al concetto di responsabilità oggettiva. In questo senso, citiamo ancora Libération, una sentenza della Corte d’appello californiana potrebbe tornare utile: nel 2015, una cliente ordinò un hoverboard tramite Amazon da un venditore terzo con sede in Cina. Il gingillo, però, esplose e ferì la malcapitata. La sentenza, resa pubblica lo scorso maggio, inchioda l’azienda di Jeff Bezos: sì, il colosso può essere ritenuto responsabile dei prodotti che vende.
Pure la Gran Bretagna, presto, potrebbe aggiornare la legislazione. Un gruppo di esperti, spiega la BBC, ha chiesto espressamente al governo di rendere le piattaforme di e-commerce responsabili dei loro contenuti, ovvero della merce.
La Francia, per contro, ad oggi considera ancora questi siti come semplici contenitori. Dei servizi che permettono a compratori e venditori di incontrarsi e trovare un’intesa. Nelle sue condizioni di utilizzo, Amazon Francia non a caso spiega che tocca al venditore terzo l’onere della vendita, con tutte le conseguenze del caso qualora vi fossero problemi. Quanto successo a Wish potrebbe cambiare il paradigma. Come direbbero i francesi: ouh là là.