In 10 anni oltre 150 mila africani morti per le violenze dei gruppi islamisti

Secondo il «Centro di studi strategici sull'Africa», organismo di ricerca del Dipartimento Difesa Usa, oltre 150'000 africani hanno perso la vita negli ultimi dieci anni a causa di violenze attribuite a gruppi islamisti. L'anno scorso è stato particolarmente mortale, con 22'307 morti, un tasso di letalità record e un aumento del 60% rispetto al 2020-2022.
In Nordafrica, la violenza islamista è in costante calo dal 2016, ma lo studio preoccupa il Marocco che dà ampio rilievo ai dati sui quotidiani. Nel 2024-2025, sono stati registrati 17 decessi, tutti in Algeria, riconducibili a piccole cellule locali. La ricerca sottolinea che la Libia continua a fungere da piattaforma logistica per i gruppi saheliani, mantenendo un rischio strutturale di destabilizzazione regionale. La concentrazione geografica della violenza è impressionante: il Sahel (10'685 morti) e la Somalia (7'289 morti) da soli rappresentano quasi l'80% delle vittime. Insieme al bacino del Lago Ciad, questi tre focolai rappresentano il 99% dei decessi attribuiti ai militanti islamici nel biennio 2024-2025. Tutte cifre incomplete, secondo il rapporto, perché in numerose aree è difficile raccogliere dati affidabili in modo indipendente.
Il Sahel è attualmente la regione più colpita. Tra il 2020 e il 2023, il numero medio annuo di decessi è stato di 4'900; questa cifra è raddoppiata negli ultimi tre anni, raggiungendo ora i 10'500. Dal 2019, il numero di decessi è aumentato di sette volte. I gruppi affiliati a Jama'at Nusrat al-Islam wal-Muslimeen (JNIM), la branca saheliana di Al-Qaeda, sono responsabili dell'83% dei decessi. Con 6'000-7'000 combattenti, hanno esteso la loro influenza dal Mali e dal Burkina Faso alle zone di confine dei paesi costieri. Lo Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS), con 2'000-3'000 soldati, rimane un rivale, ma anche un alleato temporaneo, del JNIM.
Il Burkina Faso è ora l'epicentro della crisi, con il 55% delle vittime del Sahel nel 2024-2025. Secondo il Centro studi, le forze burkinabé controllano ora solo il 40% del territorio. Il Mali, nel frattempo, ha registrato 17'700 morti dal 2009, l'81% dei quali si è verificato dopo il colpo di stato militare del 2020. In Somalia, la minaccia è costituita da Al-Shabaab, attivo dal 2006 e con 7'000-12'000 combattenti. Il gruppo genera fino a 200 milioni di dollari di entrate annuali, equivalenti ai bilanci di alcuni stati federali somali. Il paese ha assistito a una recrudescenza della violenza dopo l'elezione del presidente Hassan Sheikh Mohamud nel 2022 e la controffensiva di Al-Shabaab.
Secondo il CAES, i 6'224 decessi registrati nel 2024-2025 rappresentano il doppio del totale del 2022. La cooperazione di Al-Shabaab con gli Houthi in Yemen ha rafforzato le sue capacità tecnologiche, in particolare l'uso di droni e missili balistici, amplificando l'impatto delle sue offensive nelle zone centrali e meridionali del paese. Il bacino del Lago Ciad ha registrato quasi 4'000 morti nel 2024-2025, con un aumento del 7%. Le fazioni di Boko Haram e dello Stato Islamico dell'Africa Occidentale (ISWAP) mantengono una preoccupante capacità operativa. La Nigeria è responsabile del 74% dei decessi regionali, in particolare nello Stato di Borno. Boko Haram, stimato in un numero compreso tra 1'500 e 2'000 combattenti, e l'ISWAP, stimato in un numero compreso tra 4'000 e 7'000, sono impegnati in una competizione mortale, soprattutto per il controllo delle basi militari e per il crescente utilizzo di droni armati. La violenza contro i civili - rileva la ricerca - ha raggiunto il livello più alto dal 2016 nel 2024, con 880 morti, a dimostrazione della crescente frammentazione di questi gruppi.