In Corea del Nord c'è chi ha votato contro i membri del Partito

È stato definito, forse esagerando, un terremoto politico. O, se preferite, un vero e proprio grattacapo. Sul quale esperti e analisti, da giorni, si scervellano alla ricerca di una possibile spiegazione: accenno di cambiamento o messinscena a scopi comunicativi? Sullo sfondo, una constatazione. Anzi, una speculazione: il futuro della Corea del Nord, uno dei Paesi più chiusi al mondo, potrebbe essere differente. E questo perché, in una delle ultime dittature comuniste totalitarie, l'esito delle ultime elezioni è stato, incredibile ma vero, diverso dal solito. Ovvero, i candidati del Partito dei Lavoratori di Corea – la formazione dominante – non hanno ottenuto il 100% dei voti.
Per anni, queste elezioni sono state un'autentica farsa. Vengono organizzate pro forma, ma servono semplicemente per auto-alimentare il consenso verso l'élite al potere. Proprio perché, per un sacco di tempo, i membri del Partito dei Lavoratori si sono presentati senza opposizione e, con obbedienza e oseremmo dire senso del dovere, sono stati scelti da ogni singolo elettore. La tornata tenutasi nel fine settimana, per l'elezione delle assemblee locali, è stata tuttavia differente. Incredibilmente differente, almeno sulla carta. Secondo i media statali, infatti, una piccola percentuale di elettori ha rifiutato di votare i candidati nominati. Così la famigerata la Korean Central News Agency, nota altresì con la sigla KCNA: «Tra gli elettori che hanno partecipato alle votazioni, il 99,91% ha votato per i candidati alle assemblee provinciali del popolo e lo 0,09% ha votato contro». Il tasso di dissenso, per le assemblee cittadine e di contea, è stato perfino più alto: 0,13%. Una percentuale ridicola, pensando alle democrazie occidentali, ma enorme rispetto alla totalitarità del regime.
Certo, il risultato non è mai stato messo in discussione. Ma il fatto che la Corea del Nord abbia ammesso e riconosciuto l'esistenza di un'opposizione è un clamoroso passo avanti. Per la prima volta dagli anni Cinquanta, i media statali hanno parlato di un dissenso elettorale. Che, appunto, è minimo. Eppure esiste. Ed evidentemente preoccupa i vertici del Partito.
Al dissenso, poi, bisogna aggiungere il calo dell'affluenza alle urne, pure questo segnalato dalla KCNA. Dal 99,98% il tasso di partecipazione è sceso al 99,63%. Ahi ahi ahi. Un calo che, in un Paese nel quale il voto è obbligatorio, è stato definito notevole. «Si diceva sempre che nessuno avrebbe votato contro il candidato suggerito dal partito» ha spiegato al Times Fyodor Tertitskiy, storico della Corea del Nord presso la Kookmin University di Seul. «L'idea che il Partito dei Lavoratori di Corea, sotto la ''grande guida del compagno Kim Jong-un'', nomini un candidato per queste posizioni e che alcune persone dicano ''no, non mi piace quel tipo'', beh, è una cosa non da poco».
Una cosa non da poco altresì perché il cosiddetto segreto dell'urna, in Corea del Nord, è tutto fuorché garantito. Invece di scegliere i nomi, gli elettori devono inserire la scheda in una casella verde se approvano il singolo candidato o inserire la scheda in una casella rossa se lo rifiutano. Il voto, di conseguenza, non solo è immediato ma visibile da tutti al seggio.
Nell'immediato, difficilmente l'assetto politico del Paese verrà messo in discussione. Kim, leader di terza generazione, sostenuto dalla sorella Kim Yo-jong, ha un potere pressoché totale e incontrastato. Addirittura, il dissenso secondo alcuni rientrerebbe in una strategia comunicativa di Pyongyang. Rivolta verso l'esterno. All'inizio del 2023, la Legge elettorale era stata modificata proprio per consentire la possibilità che più candidati potessero competere per un seggio. Anche attraverso primarie attraverso cui un candidato sarebbe stato scelto fra più individui. Non risulta, ai media occidentali, che queste primarie si siano tenute. Ma Tertitskiy ha spiegato che i vertici del Paese «stanno cercando di dimostrare che il dissenso è tollerabile, che quello nordcoreano è più simile a uno Stato autoritario che totalitario».
Kim, dal canto suo, è stato immortalato dai media statali domenica in un seggio della provincia di South Hamgyong, accompagnato – come accade spesso ultimamente – dalla sorella. Ha incontrato i candidati, esortandoli a essere «veri rappresentanti e veri servitori del popolo». Servitori che «si sforzano di difendere e realizzare i diritti, gli interessi e le esigenze» della gente. Quanto al consenso di cui gode il leader, nessun problema: la stampa da giorni sta celebrando il satellite spia lanciato da Pyongyang la scorsa settimana, in violazione delle risoluzioni ONU. La KCNA ha riferito che Kim in persona avrebbe esaminato le immagini della Casa Bianca e del Pentagono, nonché quelle delle portaerei statunitensi e britanniche. Immagini satellitari che, tuttavia, i media nordcoreani non hanno mostrato. Forse perché, come ha spiegato l'intelligence sudcoreana, sono di bassa, bassissima qualità.