Sanità

Infermieri sul confine: l'Italia vuole frenare la «fuga»

Le associazioni di categoria ragionano su come «zittire» le sirene svizzere, che attraggono il personale sociosanitario al di qua del confine – Aurelio Filippini (OPI): «Dobbiamo proporre migliorie sotto ogni punto di vista» – Il Cantone, in risposta, prova a diminuire la dipendenza dall'estero
Fabrizio Barabesi
07.11.2022 06:00

In un solo anno, tra il 2021 e il 2022, le stime parlano di 250 infermieri, formatisi professionalmente in provincia di Varese, passati a lavorare in Svizzera. Un dato che preoccupa OPI (Ordine delle professioni infermieristiche) e UNEBA, l’organizzazione di categoria del settore sociosanitario. Proprio durante la loro ultima assemblea è infatti risuonato con forza l’allarme. E per cercare di zittire quelle che sono state definite le «sirene svizzere», ovvero i compensi più allettanti rispetto a quelli corrisposti in Italia, sono stati richiesti interventi immediati: a partire da sgravi fiscali e bonus aggiuntivi - sul modello della carta sconto benzina per i Comuni della fascia di confine - da corrispondere a quanti decidessero di rimanere a esercitare in Italia.

La situazione in cifre

A fotografare la situazione esistente sul fronte italiano interviene Aurelio Filippini, presidente di OPI Varese. «Innanzitutto voglio specificare come sia legittimo e, per certi versi, comprensibile, per un infermiere italiano con una paga media che difficilmente potrà superare i 1.500 euro, decidere di migrare oltreconfine dove, come minimo, gli viene garantito uno stipendio doppio. Fondamentale per noi, in Italia, è convincerli della bontà di rimanere a casa. Per fare ciò si devono proporre delle migliorie sotto ogni punto di vista e si devono prevedere investimenti significativi e repentini per mettere in campo questa operazione di salvataggio». Anche perché, sempre rimanendo al territorio varesino, sono 5.200 gli infermieri iscritti a OPI, 3.500 nel settore pubblico e il resto nelle altre strutture sociosanitarie, e perderne, in «12 mesi, il 5% non può che rappresentare una situazione fortemente critica», spiega Filippini, che evidenzia un altro numero decisivo. «Sul nostro territorio l’Università dell’Insubria in media forma annualmente tra i 50 e gli 80 infermieri. Ciò fa ben comprendere la reale portata di questo esodo», chiude Filippini. Il tutto mentre lo scorso 26 ottobre a Como, a conferma delle cifre, la ASST lariana, a conclusione del tirocinio formativo svolto durante il percorso di studi, ha portato un augurio in vista della laurea a 40 infermieri del corso della sede di Como dell’Università degli Studi dell’Insubria. Se tutto ciò non fosse sufficiente, un elemento aggiuntivo viene presentato dal consigliere di Regione Lombardia Angelo Orsenigo. «Come noto, medici, infermieri, operatori sanitari trovano facilmente condizioni di lavoro e salari migliori in Svizzera: basti pensare che più di un quarto dei 16 mila operatori sociosanitari del Ticino sono frontalieri, al 70% italiani e per la maggior parte lombardi».

La risposta del Cantone

Si tratta di un argomento dunque significativo su entrambi i lati del confine, un tema ben noto e ovviamente monitorato dalla Divisione della salute pubblica del Canton Ticino. «È indubbio che il Canton Ticino benefici di un importante supporto da parte di personale proveniente dall’Italia nel settore della sanità e dell’assistenza sociale. Alla fine del primo semestre 2022 i frontalieri impiegati in questi settori erano il 6,4% del totale, di cui circa la metà attivi negli ospedali e nelle case per anziani - fanno sapere dalla Divisione -. Il Canton Ticino ha imparato dalla recente pandemia che la dipendenza dall’estero, per tante risorse, comprese quelle professionali, può diventare un ulteriore elemento di instabilità». Da qui dunque le prime mosse future. «Quanto detto è la ragione per cui il programma di legislatura prevede un piano ad ampio raggio per favorire la formazione di personale indigeno, con misure che vanno dagli assegni alla formazione, all’aumento delle indennità di stage, al sostegno delle riqualifiche professionali e a provvedimenti nell’ambito della conciliabilità lavoro-famiglia. A tutto questo si aggiungerà una campagna a tappeto nei vari ordini di scuola per invogliare a scegliere una professione in campo sanitario. La scelta politica del Canton Ticino è quindi orientata all’investimento pro-futuro, più che alla gestione di uno status quo», conclude la Divisione di salute pubblica.

Chi sostituisce gli italiani?

Tornando sul fronte italiano, un’altra faccia della medaglia è rappresentata dalla necessità di colmare i buchi, lasciati dal passaggio in Svizzera di tanti lavoratori, con altri professionisti che «sempre più spesso arrivano da Paesi extraeuropei come del Sud America e dell’Africa. Alcuni anche dall’India - interviene ancora Aurelio Filippini -. Il decreto Milleproroghe infatti ha concesso, fino a tutto il 2023, di percorrere tale strada per arginare l’emergenza, prevedendo, per gli infermieri in arrivo, la possibilità di esercitare senza il preventivo riconoscimento dal Ministero del titolo del Paese di origine e senza che facciano la prova di italiano. Capisco come al contrario, anche in Ticino, se molti dei nostri infermieri rimanessero o tornassero in Italia grazie agli incentivi, si potrebbe presentare lo stesso problema. Ma se da noi adesso scarseggiano le prospettive, ovvero chi nasce infermiere sa già che non farà mai carriera, almeno in Svizzera può contare sull’aspetto economico».