La testimonianza

L’8 marzo delle donne iraniane tra repressione e voglia di libertà

Parla un’esule che vive in Ticino da due anni: «Il regime sa che nulla potrà tornare come prima» – «I Governi occidentali dichiarino la polizia morale degli ayatollah organizzazione terroristica»
La protesta delle donne iraniane scese in piazza, lo scorso 7 gennaio, a Zurigo. La diaspora tiene viva l'attenzione su ciò che succede nel Paese degli ayatollah. © KEYSTONE / MICHAEL BUHOLZER
Dario Campione
08.03.2023 06:00

L’8 marzo 1979, quando erano trascorsi pochi giorni dalla fuga dello scià e dal trionfo della rivoluzione islamica, le donne iraniane scesero in piazza e manifestarono contro l’introduzione dell’obbligo di indossare il velo negli uffici pubblici - un obbligo presto allargato a ogni altro luogo. A sostegno dei propri diritti, scelsero uno slogan che, purtroppo, non ebbe fortuna: «Per non tornare indietro».

Dopo 44 anni, le donne iraniane celebrano oggi un altro 8 marzo di protesta. Stavolta all’insegna di tre parole diventate la colonna sonora del cambiamento in ogni Paese del mondo: «Donna Vita Libertà».

Resistono, le donne persiane, alla guida della ribellione contro il regime teocratico. Una rivolta esplosa dopo la morte, il 16 settembre dello scorso anno, di Mahsa Amini, la 22enne massacrata di botte in una caserma della polizia a Teheran per non aver indossato correttamente il velo. Da allora, 500 civili sono morti nelle manifestazioni e 20 mila persone sono state arrestate.

Resistono, le donne iraniane, soprattutto le più giovani, a una repressione sempre più crudele, spietata.

Oltre 5 mila vittime

Nelle ultime settimane, oltre 5 mila studentesse sono state avvelenate con il gas in almeno 230 scuole diverse, situate in 25 delle 31 province del Paese. «Impossibile valutare il numero delle ragazze trasportate in ospedale e il numero delle vittime in condizioni critiche che lamentano difficoltà respiratorie, nausea e mal di testa», ha scritto ieri la France Presse in una lunga corrispondenza da Teheran.

Si sa che gli avvelenamenti sono iniziati alla fine di novembre 2022 nella città religiosa di Qom, prima di ripetersi in altre parti del Paese. Gli autori di questi atti, avvenuti a Teheran, Mashhad, Racht, Bandar-e Abbas, Kermanshah, non sono stati identificati. Ma la gente è convinta che la responsabilità sia degli ayatollah, desiderosi probabilmente di frenare la rivolta e di punire chi l’ha avviata.

La situazione sta di nuovo diventando incandescente. Così ieri, forse per placare gli animi, sono stati annunciati i primi arresti. Il viceministro dell’Interno Majid Mirahmadi è apparso sui canali della Tv di Stato per annunciare che «alcune persone» erano state «fermate in cinque province» sulla base «di indagini condotte dai servizi di intelligence». Mirahmadi non ha tuttavia fornito dettagli sulla loro identità, sulle circostanze del loro arresto e sul loro presunto coinvolgimento.

Il giorno prima, anche la guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, era intervenuta per chiedere «condanne severe» contro i responsabili di questi atti, citati per la prima volta e definiti «crimini imperdonabili». Gli avvelenatori «devono essere condannati a pene severe», per loro «non ci sarà alcuna amnistia», ha avvertito Khamenei.

Una mia cugina di secondo grado è sparita, pensiamo che sia stata uccisa. Sicuramente è stata uccisa, perché la sua auto è stata trovata sporca di sangue 10 giorni dopo la scomparsa
Iran, esule iraniana in Ticino da due anni

«Il nome di mia mamma»

L’8 marzo delle donne iraniane che chiedono vita e libertà non si celebra soltanto a Teheran e nelle città persiane, ma un po’ ovunque in Europa e nel mondo. Grazie soprattutto alle famiglie della diaspora. A chi, in fuga dal regime teocratico, continua a lottare e a invocare solidarietà.

«Vogliamo tenere alta l’attenzione, sappiamo che la nostra sarà una battaglia lunga. Chiediamo vicinanza, aiuto, ma anche atti concreti, ad esempio che i Governi dei Paesi liberi dichiarino la polizia morale organizzazione terroristica a tutti gli effetti». A parlare è una donna che vive nel nostro cantone da due anni. La chiameremo Iran, rispettando la sua richiesta di anonimato. «È il nome di mia mamma - dice al Corriere del Ticino - so che questo per voi è inusuale, ma noi dobbiamo essere prudenti, soprattutto per i familiari rimasti in patria». Potenziali vittime della terribile violenza del regime.

«Una mia cugina di secondo grado è sparita, pensiamo che sia stata uccisa - racconta Iran - Sicuramente è stata uccisa, perché la sua auto è stata trovata sporca di sangue 10 giorni dopo la scomparsa. Stava andando a trovare la madre, non è mai arrivata a destinazione». Tutti sanno della polizia morale, dice ancora Iran, «ma forse pochi sono a conoscenza di un’altra cosa, ciò che noi chiamiamo “fuoco a volontà”: nel mio Paese chiunque può agire, anche senza essere un’autorità istituzionale, a difesa del regime islamico. Se una donna cammina senza velo, può essere fermata e picchiata. Ancora ieri (lunedì, ndr) il capo della magistratura ha detto che bisogna perseguitare le donne a capo scoperto, giustificando in questo modo ogni azione violenta».

La repressione contro chi ha manifestato, negli ultimi mesi, è stata durissima. «Sono state uccise molto persone, tante altre sono scomparse. Molti dei giovani arrestati non sono finiti in carcere ma nelle mani della polizia segreta. Ai genitori che sono andati a chiedere notizie, a cercarli, nessuno ha dato risposte».

E a proposito degli avvelenamenti nelle scuole femminili, Iran ha una sua idea: «Il Governo tenta di prendere tempo, si rende conto che nulla potrà tornare come prima ma non sa che fare. Utilizzano la paura per distrarre l’attenzione, per fare in modo che la gente pensi ad altro».

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