La Chiesa cattolica tedesca e quel peso sulle spalle del Papa

La Chiesa cattolica tedesca è stata motivo di profondissima amarezza per Benedetto XVI e, forse, uno dei motivi delle sue dimissioni e, poi, di sofferenza nei quasi dieci anni vissuti come «Papa emerito».
Due opposti modelli di Chiesa
Già negli anni Settanta-Novanta del secolo scorso questa tensione si acuì, quando il futuro pontefice era ancora professore di teologia in università tedesche, e ancor più dopo che nel 1977 Paolo VI lo volle arcivescovo di Monaco e cardinale, e Giovanni Paolo II nel 1981 lo scelse come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, carica che mantenne fino al 2005 quando, morto papa Wojtyla, lui fu scelto dal conclave come suo successore.
Semplificando forse un pochino situazioni complesse, ma cogliendo il nocciolo della questione, stampa ed esponenti della Intellighentzia tedesca, videro la Chiesa cattolica del Paese ben rappresentata, per i «conservatori», da Ratzinger e, per i «progressisti», da Hans Küng. Questi, di origine svizzera, era docente di teologia all’Università di Tubinga, e quindi collega dell’altro. Questi era già arcivescovo in Baviera quando, nel dicembre del 1979, l’ex Sant’Uffizio, allora guidato dal cardinale croato Franjo Šeper, proclamò: «Il Professor Hans Küng è venuto meno, nei suoi scritti, all’integrità della verità della fede cattolica, e pertanto non può più essere considerato teologo cattolico né può, come tale, esercitare il compito di insegnare».
Ma che aveva scritto di tanto «ereticale» il docente di Tubinga? Nel suo libro Infallibile?, spiegava il porporato, egli negava il dogma dell’infallibilità pontificia, definito dal Concilio Vaticano I nel 1870, e lo riduceva ad un certa «indefettibilità»: secondo Küng, i papi - storicamente - nel loro magistero hanno spesso sbagliato e sempre possono cadere in errore; ma Dio, tuttavia, non permetterà che la Chiesa perisca.
La condanna vaticana contro Küng suscitò in Germania fortissime ma contrapposte reazioni: pochi «conservatori» lodarono Roma per aver finalmente «messo in riga» il teologo ribelle; ma i più, «progressisti», criticarono aspramente il diktat vaticano.
Pochi mesi dopo essere diventato papa, Ratzinger fece un gesto cavalleresco: il 24 settembre invitò nella villa pontificia di Castelgandolfo il teologo. Esultanza in Germania. Ma il Vaticano precisò: «L’incontro si è svolto in un clima amichevole. Entrambe le parti erano d’accordo che non avesse senso entrare in una disputa circa le questioni dottrinali persistenti tra Hans Küng e il Magistero della Chiesa cattolica».
Lo studioso, e molti tedeschi con lui, sperarono però che quella straordinaria udienza portasse al riconoscimento, da parte di Roma, della sua opera teologica; ma, anche dopo mesi e mesi, nulla accadde, né si videro riforme. E, fino alla sua scomparsa (nel 2021), Küng definì un «fallimento» quel pontificato. _
La passione secondo Ratzinger
La diffusa pedofilia del clero in Germania fu il detonatore che avviò l’idea del Synodaler Weg, il «Cammino sinodale»: una singolare assemblea che, per rispondere a quello scandalo inaudito, doveva proporre una serie di audaci riforme ecclesiali per rispondere così alla sfiducia della gente.
Il Weg si sarebbe aperto «spiritualmente» nel dicembre 2019, iniziando in concreto a Francoforte, con la sua prima sessione, nel gennaio 2020. L’Assemblea, suddivisa in quattro «forum», doveva affrontare altrettanti temi: «Potere e distribuzione dei poteri nella Chiesa»; «Vita sacerdotale oggi»; «Le donne nei ruoli amministrativi della Chiesa»; «Vivere l’amore nella sessualità e nella relazione». Membri del Weg: 69 vescovi, 69 membri del Comitato centrale dei cattolici, e poi rappresentanti degli Ordini religiosi e dei Consigli pastorali e presbiterali, e esponenti delle Facoltà universitarie cattoliche. In tutto, 230 persone.
Ratzinger andò sempre più preoccupandosi. E lo si capisce se si esplicita quello che avrebbero discusso i forum: la benedizione in chiesa delle coppie omosessuali; una revisione della comprensione teologica e pratica dei ministeri, con l’apertura alle diacone e, per alcuni, anche alle donne presbìtere; possibile celibato opzionale per i preti; revisione del sistema del bilanciamento dei poteri all’interno della Chiesa; ridiscussione dei rapporti tra Chiesa tedesca e Curia romana.
Nessuna di queste riforme era stata ipotizzata da Benedetto XVI. Dunque, la sua Chiesa natìa si sarebbe imbarcata in una impresa che demoliva la sua linea di difesa dalla modernità. Un’amarezza senza fine per Ratzinger, se si pensa che, alla sua elezione, un giornale in Germania aveva titolato: «Wir sind Papst», Noi siamo Papa.
Due mesi fa vi era stato in Vaticano un vertice tra i vescovi tedeschi e il Papa con i cardinali responsabili dei più importanti dicasteri: sui «temi caldi» è apparsa una distanza siderale tra la maggioranza «progressista» del Synodaler Weg e la Curia romana. Al Sinodo dei vescovi, previsto in Vaticano, nella prima sessione, a ottobre (la seconda sarà nel 2024), tra le due Parti si siglerà un ragionevole compromesso, o sarà la resa dei conti? Qualcuno forse invocherà l’ombra di Martin Lutero, o quella di Hans Küng, o quella di Joseph Ratzinger. E Francesco?
Un funerale solenne ma semplice
Solenne, ma semplice: così Joseph Ratzinger - dal 16 aprile 2005 al 28 febbraio 2013 Benedetto XVI, poi Papa emerito fino alla morte il 31 dicembre scorso - ha chiesto che fosse il suo funerale. Esso si svolgerà questa mattina in piazza san Pietro, e lo presiederà Francesco. Poi Ratzinger sarà sepolto nelle grotte vaticane, accanto ad altri papi.
Già queste scarne note di cronaca dicono l’eccezionalità dell’evento. Può darsi che, nei primi secoli, un papa abbia celebrato il funerale del predecessore, che magari era stato obbligato a dimettersi dall’autorità romana; ma non abbiamo dati certi. Di più sappiamo del secondo millennio. Celestino V, dimessosi volontariamente nel dicembre del 1294, dopo soli cinque mesi di regno, visse poi senza nessuna insegna pontificale, e morì due anni dopo, a Fumone, in Ciociaria, prigioniero del successore, Bonifacio VIII. Il quale, pur soggiornando abbastanza vicino, non andò al suo funerale, ma si fece rappresentare da un cardinale.
Il singolare caso di Gregorio XII
Singolare la situazione di Gregorio XII, che nel 1415 fu praticamente obbligato a dimettersi dal Concilio di Costanza convocato appunto per sanare il Grande Scisma d’Occidente che vedeva tre papi - il romano, lui, e poi il pisano e l’avignonese - in contemporanea rivendicare il papato, ciascuno considerando gli altri due «antipapi». Quando morì, nell’ottobre del 1417, la sede romana era «vacante»; Martino V, poi da tutti riconosciuto come il vero papa, sarà eletto dal Concilio solo un mese dopo.
Un unicum
Le esequie odierne sono, dunque, un unicum: occorre risalire di otto secoli, per trovare un pur debole paragone. Il successore di colui che fu Benedetto XVI, celebra il funerale di lui, da quasi dieci anni non più papa. Questo spiega perché la cerimonia odierna abbia delle singolarità. Ad esempio, a livello ufficiale, non saranno presenti, come ai funerali degli ultimi papi, decine e decine di Capi di Stato, ma solo due: l’italiano e il tedesco.
Bergoglio ha soppesato ogni dettaglio, muovendosi tra esigenze diverse, e creando un modello, per i funerali, nel futuro, di altri papi «emeriti». Che, si presume, saranno quasi la norma.