L’intervista

«La Cina alza i toni su Taiwan, ma non è detto che userà la forza»

Simona Grano, professoressa associata dell’Istituto Asia orientale dell’UNI di Zurigo analizza le crescenti pressioni di Pechino su Taipei
Un guardiacoste USA e una nave da guerra giapponese pattugliano insieme il tratto di mare tra la Cina e Taiwan nel corso di una recente esercitazione congiunta. Una risposta alle crescenti violazioni dello spazio aereo taiwanese da parte di aerei da guerra cinesi. ©U.S. Coast Guard via AP
Osvaldo Migotto
03.09.2021 06:00

La Cina tiene alta la pressione su Taiwan, ritenuta una provincia ribelle, ma UE e USA non ci stanno, mostrando la loro solidarietà al Governo di Taipei. Tra Pechino e l’Occidente le tensioni sono destinate ad aumentare? Abbiamo sentito il parere della sinologa Simona Grano.

La Cina critica duramente il rapporto sulle relazioni UE-Taiwan da poco presentato dalla commissione per gli affari Esteri del Parlamento europeo. A Pechino non piace in particolare che i parlamentari UE abbiano chiesto relazioni più strette con Taiwan, e per questo ha denunciato gravi violazioni del principio dell’«unica Cina». I rapporti tra Cina e UE rischiano di deteriorarsi?
«Penso di sì. La Cina reagisce sempre con una posizione molto ferma sulla questione di Taiwan. Lo abbiamo visto anche nel caso della Lituania che vuole creare un ufficio di rappresentanza taiwanese. Anche in questo caso Pechino ha reagito con parole dure. La Cina ha tenuto questo atteggiamento anche con la Svizzera, quando la Commissione per gli affari esteri ha parlato di migliorare i rapporti con Taiwan. Non so se si possa dire che questa presa di posizione della commissione per gli affari Esteri del Parlamento europeo rovinerà ulteriormente i rapporti con l’UE che sono già molto tesi. Quindi la Cina mantiene una posizione di facciata e si sente in dovere di intervenire per ribadire la posizione dell’unica Cina».

Il rapporto dalla commissione per gli affari Esteri del Parlamento europeo ha espresso preoccupazione per le tensioni militari e le violazioni dello spazio aereo di Taiwan da parte della Cina. Pechino sta premendo sull’acceleratore per portare Taiwan sotto il suo controllo?
«È difficile dirlo. Sicuramente quello che stiamo vedendo è un incremento di quella che tra virgolette possiamo definire l’aggressione della Cina nei confronti di Taiwan, rispetto a quello che vedevamo qualche anno fa. Vi sono invasioni dello spazio aereo taiwanese sempre più frequenti e vi sono rapporti militari, come ad esempio quello dell’ammiraglio Philip Davidson, fino a poco tempo fa comandante delle forze USA nel Pacifico, che sostengono che un attacco cinese su Taiwan potrebbe avvenire nei prossimi sei anni. Difficile però dire se questo attacco avverrà veramente. Quello che vediamo adesso è un aumento delle provocazioni. Non sappiamo se con tali provocazioni più frequenti Xi Jinping voglia spaventare la popolazione a Taiwan o se veramente questo porterà a delle azioni militari».

Il presidente cinese Xi Jinping intende far diffondere il suo pensiero nelle scuole cinesi. Come interpreta questa mossa? Abbiamo di fronte un politico sempre più megalomane?
«La diffusione del pensiero di Xi Jinping non avviene solo nel campo dell’istruzione. Già da diversi anni avviene anche nelle istituzioni che formano i giornalisti, e nella scuola di partito. Per cui assistiamo, come dice lei, a una sorta di megalomania. A mio parere si tratta di un ritorno a certe tendenze ideologiche che non si vedevano più dall’epoca maoista, ossia il culto della personalità del leader supremo che sovrappone il suo pensiero anche alla scienza e alla tecnologia, in un certo senso».

Nel rapporto 2021 sull’esercito cinese, il ministero della Difesa taiwanese traccia uno scenario ben più critico rispetto a quello dello scorso anno sulla minaccia rappresentata dalla Cina. Taipei cercherà ulteriori aiuti militari americani?
«Questo dipende dal periodo storico che stiamo vivendo. Quello che è successo in Afghanistan, con il ritiro delle truppe americane, ha portato ad un incremento della discussione nel mondo politico taiwanese sul fatto che forse gli abitanti di Taiwan farebbero bene a contare più su loro stessi piuttosto che pensare che gli Stati Uniti correrebbero in loro aiuto nel caso in cui la Cina gli attaccasse. A tale proposito sono interessanti alcuni sondaggi condotti recentemente, dai quali risulta che sull’isola principale di Taiwan il 39,6% di chi ha risposto al rilevamento pensa che la Cina potrebbe attaccarli. Quindi la paura nei confronti della Cina non è così grande a Taiwan. Dove i timori sono forti è sulle isole esterne Kinmen e Matsu, che sono vicine alla Cina continentale e rappresentano quindi i primi avamposti che Pechino potrebbe cercare di conquistare».