La Cina ha raggiunto il suo picco massimo di emissioni di CO2

Sì, la Cina ha raggiunto il suo picco massimo di emissioni di CO2. O lo raggiungerà l'anno prossimo, nel 2025. A dirlo, e ribadirlo, è un numero consistente di esperti. Un dato, questo, di per sé positivo, perché testimonia l'impegno di Pechino nella cosiddetta transizione energetica. Detto in altri termini: il Dragone non emetterà oltre la soglia raggiunta, grazie a una fetta sempre maggiore di investimenti nelle fonti rinnovabili. Se è vero che la Cina, da sola, dal 2015 a oggi è largamente responsabile della crescita di emissioni, parliamo del 90% circa, è altrettanto vero che il Paese ha investito in tecnologie e capacità green come nessun altro. Stando ai nuovi dati pubblicati dal Global Energy Monitor, ad esempio, Pechino è sulla buona strada per aggiungere rispettivamente 180 e 159 Gigawatt di energia solare ed eolica. Numeri consistenti, circa il doppio rispetto al resto del mondo messo insieme.
La Cina si è buttata a capofitto nelle rinnovabili, dicevamo, nonostante il Paese abbia ancora molta, moltissima strada da compiere per ridurre la sua impronta carbonica. Pena, il mancato raggiungimento dell'obiettivo zero-emissioni entro il 2060. Volendo vivisezionare le emissioni cinesi, balza all'occhio la quota preponderante (80%) del carbone, una fonte di energia strettamente legata allo sviluppo economico che ha conosciuto il Dragone in questi ultimi decenni. Dopo i gravi blackout elettrici del 2021 e, ancora, del 2022 le autorità politiche del Paese si sono dette riluttanti a eliminare del tutto questa fonte inquinante. Come riferisce il South Morning China Post, infatti, Pechino – secondo un programma presentato lo scorso ottobre – intende ridurre il consumo di carbone in maniera sicura e, soprattutto, «ordinata». Come ha sottolineato il Guardian, la Cina preferisce la politica del passo secondo la gamba, al grido «se non puoi farlo, non dirlo». Tradotto: inutile sbandierare obiettivi troppo ambiziosi, che cozzano con la realtà.
Resta da capire, a questo punto, come si comporteranno gli altri Paesi. A cominciare dagli Stati Uniti, freschi di presidenziali. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e della politica autarchica, riassumibile nel motto America First, potrebbe minare i risultati collettivi raggiunti, non senza fatica, dagli altri Paesi. Gli esperti, al riguardo, hanno sottolineato che l'imposizione di dazi sulle importazioni cinesi potrebbe riflettersi altresì sulla transizione verde avviata da Washington. L'MIT Technology Review, citata da Semafor, su questo punto ha spiegato: «È avventato credere che le imprese statunitensi possano facilmente intervenire e produrre questi beni essenziali in un relativo isolamento globale». Uscendo dal linguaggio tecnico, significa che Washington difficilmente potrà svoltare, energeticamente parlando, senza l'aiuto concreto della Cina, «il più grande fornitore al mondo di prodotti tecnologici puliti».