«La Corea del Nord negava di aver casi di Covid, ma il virus era ovunque»

Solo qualche viaggio per turisti. Poi, la Corea del Nord ha chiuso di nuovo i battenti. Il Paese di Kim Jong-un, da più di cinque anni a questa parte, è diventato uno dei posti più inaccessibili al mondo. Dallo scoppio della pandemia, nel 2020, Pyongyang ha ordinato la chiusura dei confini. Salvo una breve riapertura, tra febbraio e marzo, di alcuni tour a Rason, una zona economica speciale piuttosto isolata, il Paese non ha più accolto visitatori.
Una decisione, questa, motivata da più fattori. Tra questi, però, anche sanitari. La Corea del Nord, durante i primi mesi di pandemia, si era infatti vantata di aver registrato zero casi di Covid-19. Merito, secondo Pyongyang, della rigida, rigidissima chiusura delle frontiere. Ma le cose sarebbero andate diversamente, come svela un rapporto di 26 pagine pubblicato dal Center for Strategic and International Studies di Washington in collaborazione con il George W. Bush Institute.
Alcuni ricercatori, insomma, sono riusciti a «bucare il ferreo blocco delle informazioni della Corea del Nord» e hanno rivelato ciò che davvero sarebbe successo oltre quei confini invalicabili, in uno dei Paesi più misteriosi al mondo. Pyongyang sostiene, ancora oggi, che nessun cittadino nordcoreano avesse contratto il virus in quei primi mesi in cui il resto del mondo era stato costretto a fermarsi per limitare i contagi. Ma secondo il rapporto, in quegli anni, il Paese è stato travolto da un'ondata mortale di malattie, spesso non trattate. Di cui, va da sé, non si è mai parlato, o parlato troppo poco.
Come scrive la CNN, nel documento vengono riportate anche testimonianze che raccontano di decessi causati da farmaci contraffatti o auto-prescritti, e non solo. «I medici mentivano ai pazienti. I capi villaggio mentivano al partito. E il governo mentiva a tutti», ha dichiarato il dottor Victor Cha, tra gli autori principali dello studio, che ha raccolto ben 100 interviste, condotte «discretamente» in Corea del Nord tra settembre e dicembre 2023.
Una febbre «misteriosa»
Per i ricercatori, i risultati dell'indagine offrono solo «un primo sguardo» su ciò che potrebbe essere accaduto in quel luogo così remoto, isolato dal resto del mondo. Secondo il dottor Cha – che è stato anche ex consigliere della Casa Bianca e presidente del CSIS per la Corea –, lo studio non è altro che la prova di «un fallimento da parte del governo nel fare qualcosa per la popolazione durante la pandemia». «Tutti mentivano, a causa di una politica governativa che diceva che non c'era Covid nel Paese. Ma in realtà sapevano che non era così». Secondo il dottore, la politica di negazione di Pyongyang non ha solo cercato di ingannare il mondo esterno, ma ha anche costretto gli oltre 26 milioni di abitanti della Corea del Nord a «un silenzio reciproco forzato».
Per anni, a causa del blocco dei confini, nessuno è riuscito ad accedere alle informazioni e a verificare quale fosse, realmente, la situazione della pandemia in Corea del Nord. Nei primi anni, come detto, Pyongyang aveva più volte ribadito di essere riuscita a tenere il virus fuori dai confini nordcoreani. Solo due anni dopo, quando la televisione locale trasmise le scene di una parata militare nella capitale, si videro alcune persone con le mascherine per le strade. Qualche tempo dopo, i media statali iniziarono a parlare di una «misteriosa epidemia di febbre». Solo all'inizio di maggio 2022, Pyongyang confermò il primo caso di Covid-19. Tre mesi dopo, tuttavia, dichiarò di aver sconfitto il virus con soli 74 morti su quasi 5 milioni di contagi.
Niente test, vaccini e mascherine
Secondo la ricerca condotta dal CSIS, però, le cose sarebbero andate diversamente. Il 92% degli intervistati ha infatti riferito di aver contratto il virus, o di aver conosciuto qualcuno che lo aveva contratto. Soprattutto, però, tra il 2020 e il 2021, anni in cui si sarebbero verificati i focolai peggiori, e non nel 2022. «Tantissime persone avevano la febbre e molte morivano nel giro di pochi giorni», ha confessato un testimone. Dalle carceri alle scuole, ma anche nelle fabbriche alimentari, secondo gli intervistati i cittadini perdevano diversi giorni di lavoro a causa del virus.
Un altro problema, secondo quanto emerso dallo studio, era la quasi nulla accessibilità ai test Covid-19. L'87% degli intervistati ha infatti dichiarato di non aver mai avuto modo di eseguirne uno. Le diagnosi, infatti, venivano fatte unicamente in base ai sintomi. Sintomi che, tuttavia, erano un tabù. Una donna ha raccontato di essersi sentita dire da un medico che se avesse accusato sintomi come febbre, tosse o respiro corto «sarebbe stata portata via». Motivo per cui, in alcuni casi, i cittadini, anziché affidarsi alle cure ufficiali, hanno utilizzato alcuni «rimedi della nonna» per sconfiggere il virus, come lavaggi di acqua salata e persino iniezioni di oppio. Metodi fai da te che non hanno fatto altre che peggiorare il bilancio delle vittime, a causa di dosaggi sbagliati o di overdose da farmaci cinesi contraffatti.
Non solo. Anche le mascherine, come testimoniavano i filmati della televisione nordcoreana, scarseggiavano. Solo l'8% degli intervistati ha dichiarato di averle ricevute dal governo: molti si sono visti costretti a cucirsele da soli, o ad acquistare ai prezzi del mercato nero. E non finisce qui. Meno del 20% dei testimoni ha ricevuto un vaccino, e la maggior parte di questi è stata somministrata solo dopo che Pyongyang ha riconosciuto la pandemia nel 2022 e ha accettato un limitato aiuto cinese.