Social media

La creatura personale di Musk e l’impronta sulla campagna

Qual è il ruolo di X nella corsa presidenziale statunitense, anche alla luce della forte intesa tra l’imprenditore e Donald Trump – Perché i dem continuano a utilizzare la piattaforma
© KEYSTONE (PA/CJ GUNTHER)
Paolo Galli
13.09.2024 06:00

«L’uccellino è libero». Era il 28 ottobre del 2022. A due anni dalle presidenziali americane, Elon Musk acquistava Twitter in cambio di 44 miliardi di dollari. E lo annunciava proprio con un tweet. «L’uccellino è libero». E aggiunse: «Acquisto Twitter perché è importante per il futuro della civilizzazione avere una piazza comune digitale dove un’ampia gamma di idee può essere discussa in modo salutare». Tra i primi a festeggiarne l’acquisto, Donald Trump, che da Twitter era stato escluso oltre un anno prima, nel febbraio del 2021. «Sono molto contento che Twitter sia ora in mani sane e non sia più guidato da lunatici e maniaci della sinistra radicale», aveva scritto su Truth l’ex presidente. Oggi, i due - Musk e Trump - risultano sempre più vicini. E X, il vecchio Twitter, è un luogo diverso, rispetto a qualche anno fa. Ma quanto potrà influire sulla campagna? E perché, nonostante tutto, i democratici non lo abbandonano?

«Un’azione politica»

Per parlarne, abbiamo raggiunto Fabrizio Tonello, professore dell’Università di Padova, politologo, esperto di storia statunitense e della formazione dell’opinione pubblica. Non usa giri di parole: «Attualmente, X è lo strumento di un miliardario megalomane e della sua ideologia di estrema destra. Musk ha comprato Twitter per una cifra fuori mercato precisamente con lo scopo di avere una propria piattaforma da cui influenzare il dibattito pubblico negli Stati Uniti». La sua intervista-fiume a Trump, messa in scena il mese scorso proprio attraverso il social, è lì a dimostrarlo. «Spero in una tua vittoria per il bene del Paese», aveva detto Musk al candidato repubblicano. «Quella del miliardario americano è un’azione politica». Certo, Musk avrà da guadagnarci dall’eventuale rielezione di Trump. Il tycoon ha parlato per il magnate di un posto da ministro o da consigliere. E l’imprenditore ha risposto: «Sono pronto a servire». «Ma non è che, oggi, dall’alto dei suoi 240 miliardi di dollari di patrimonio, Musk abbia bisogno di promesse», spiega ancora Tonello. Il ritorno al neoliberismo puro e duro, però, lo favorirà senz’altro, dice. Poi, il professore sottolinea come lo stesso social oggi non figuri neppure nella top 10 a livello di utenti, molto lontano da Facebook, YouTube e Instagram, o da TikTok. «È importante sì, ma in senso relativo. E poi, essendo molto connotato, sarà più interessante per un certo tipo di utenti, ma la sua capacità di espansione sarà piuttosto limitata».

«Aumentate le fake news»

Ecco, tendiamo a dare tutto per scontato. Anche la capacità di un social di influenzare le masse, e quindi le conseguenti scelte d’acquisto e di voto. Chiediamo a Tonello di aiutarci a chiarire questo concetto. E la sua risposta è chiara: il social in sé non ha grande utilità, se non interagisce con altri attori mediatici. «Twitter era più utile una decina di anni fa. Era il mezzo più seguito da politici e giornalisti, che reagivano sempre molto rapidamente a tutto ciò che veniva postato. I social network, d’altronde, funzionano da sempre così: non è tanto importante ciò che viene postato, ma tutto dipende più che altro dalla misura in cui questo rimbalza su altri social e su altri mezzi di comunicazione mainstream, a cominciare dalla televisione fino ai grandi giornali». La capacità di un social di influenzare l’opinione pubblica dipende molto, insomma, da come reagisce il resto dell’ecosistema informativo. Quello stesso ecosistema che Musk stesso ha recentemente definito «così lento». «Motivo per cui sono strumenti piuttosto imprevedibili», aggiunge il professore. «In questo momento, X è maggiormente influente rispetto alla base dei seguaci di Trump. Non è un caso che siano aumentate le notizie false, così come i video generati dall’intelligenza artificiale, per destabilizzare la campagna di Kamala Harris e compattare la base repubblicana». Tonello definisce questi contenuti «un cumulo di menzogne». In un momento in cui «Trump non ha ancora trovato il passo giusto nella sua campagna elettorale dopo il cambio in campo democratico tra Biden e la stessa Harris». Difficile quindi, oggi come oggi, sfruttare i social per influenzare l’opinione pubblica nel suo complesso.

«Era più potente»

In un’intervista a Politico, Rob Flaherty, vice responsabile della campagna di Biden, aveva rivelato: «Consideriamo X un luogo sempre più ostile». E poi: «Inizialmente era un luogo il cui valore era la comunicazione con le élite, i giornalisti e le persone altamente informate. Ma era anche un luogo in cui la politica poteva entrare nella cultura in modo reale». Nonostante questo nuovo scetticismo democratico, è curioso come Biden stesso abbia scelto proprio X come luogo in cui annunciare la propria rinuncia a proseguire nella corsa verso una rielezione alla Casa Bianca. Un annuncio storico, tra i più importanti dell’intera storia americana. Sembra quasi che i democratici abbiano quindi scelto di non consegnare «semplicemente» il mezzo ai repubblicani, ma di continuare a occuparlo, anche di fronte al cambio di proprietà e di utenza. Il professor Tonello riflette: «Twitter era uno strumento più potente, anche perché ogni cosa venisse postata subito rimbalzava su altri media. Oggi questo riscontro è più limitato, e poi X viene percepito come una creatura personale di Musk, orientata politicamente e incapace di coinvolgere ampie comunità». Come suggerito da Jesse Lehrich, portavoce della campagna di Hillary Clinton nel 2016, citato dallo stesso Politico, «vista la posta in gioco, penso si debba essere parte del dibattito ovunque si svolga, anche se a lungo termine si vorrebbero vedere piattaforme che facilitino un discorso politico più sano». E poi: «Quando è in gioco la democrazia, non si vuole perderla per il gusto di prendere una posizione di principio». Lo stesso vale per Trump, che «liberato» da Musk ha ritrovato il proprio account X. Mercoledì lo ha sfruttato per rilanciare un suo attacco a Harris sferrato durante il dibattito del giorno precedente. Pochi giorni prima invece ripostava un tweet dello stesso Musk. Questo: «Il partito democratico degli Stati Uniti ha un incentivo enorme a far entrare e legalizzare gli immigrati illegali, dato che votano in massa per i democratici. Non c’è bisogno di grandi teorie cospirative. Il semplice incentivo di vincere le elezioni spiega perché non deporteranno nemmeno i criminali che aggrediscono gli ufficiali di polizia davanti alle telecamere, perché ciò significherebbe perdere quei voti».

Il ruolo della vecchia Tv

Il dibattito di martedì sera su ABC News tra Donald Trump e Kamala Harris è stato seguito da 67,1 milioni di persone. A riportarlo per primo è stato il New York Times, proprio attraverso il suo canale X, sottolineando pure l’aumento di spettatori rispetto alla precedente sfida televisiva, quella tra lo stesso tycoon e il presidente Joe Biden: +31% rispetto ai 51 milioni del 27 giugno. Questo dato, almeno stando agli studi effettuati da siti specializzati, si rispecchia nel calo di traffico su internet in tutti gli Stati Uniti durante il dibattito: insomma, martedì sera la tv è tornata centrale, anche nei sette Stati che - si dice - saranno decisivi per le elezioni. Sono aumentate però le ricerche effettuate online sulle figure dei due candidati. Trump ha ottenuto il picco all’inizio del dibattito, mentre Harris al termine dello stesso, in sostanza in contemporanea con l’annuncio di Taylor Swift del suo sostegno alla 59.enne californiana.

Nella campagna di Trump, inarrivabile è il picco raggiunto dopo l’intervista di Elon Musk allo stesso candidato repubblicano su X. L’ex presidente ha maggiore esperienza nell’utilizzo dei social media come arma mediatica, rivolta in particolare alla sua base più affezionata. Base che, a sua volta, sa come usare le piattaforme, sfruttando le maglie sempre più larghe, in particolare del nuovo Twitter «à la Elon Musk», per generare una sorta di ecosistema a parte, fatto di verità proprie a quel mondo. Mai come quest’anno, le due campagne hanno puntato su ogni tipo di linguaggio e su tutti i media. L’importanza dei vettori tradizionali è stata nuovamente evidenziata dal dibattito, ma quella dei social media dai team creati dai due partiti. Democratici come repubblicani hanno reclutato, per l’occasione, creatori di contenuti e influencer. L’endorsement di Taylor Swift - che era attesissimo - vale parecchio, al punto che ora lo stesso Trump lo usa come strumento per sminuire la cantante. «I social media rappresentano ciò che le persone pensano e allo stesso tempo plasmano ciò che pensano», ha affermato - riportato poi da Reuters - Shannon McGregor, professore associato presso la Hussman School of Journalism and Media dell’Università della Carolina del Nord. Non è un caso se uno dei temi più battuti sui social, dopo il dibattito televisivo, sia stato quello relativo alla qualità dei due moderatori di ABC News, tacciati di parzialità da parte di Trump - «Era un tre contro uno», ha detto - e, di conseguenza, anche da parte dei suoi seguaci. Anche queste accuse la dicono lunga sull’importanza ritrovata del «vecchio» mezzo televisivo. Certo, quello da solo non basta più a fare una campagna presidenziale.