«La deterrenza nucleare è legata alla credibilità della minaccia»

Mauro Gilli, si è tornati a parlare di deterrenza nucleare europea. Trump è la sola scintilla?
«È il motivo per cui i Paesi europei hanno iniziato a parlare di nucleare condiviso. La Polonia addirittura ha ammesso che sta considerando l’idea di sviluppare delle sue armi nucleari. Tutto ciò è il prodotto delle ultime dichiarazioni e dei fatti già concretizzati dall’Amministrazione Trump, la quale ha - per la prima volta dopo ottant’anni - messo in discussione il proprio impegno a difendere i Paesi europei. Ecco, non ci sono particolari ambiguità in merito».
Qual è lo stato dell’ombrello nucleare europeo oggi? È corretto dire che oggi la deterrenza nucleare europea dipenda esclusivamente dall’impegno USA?
«I soli Paesi europei che hanno armi nucleari - è noto - sono Francia e Regno Unito, poi chiaramente ci sono altre Nazioni, come Germania e Italia, dove vige il cosiddetto nuclear shearing, la condivisione nucleare, con armi americane gestite dagli americani. Con il venir meno dell’impegno statunitense in Europa, potremmo assistere alla rimozione delle forze americane dal territorio e, di conseguenza, all’assenza di protezione nucleare da parte degli americani. Rimarrebbero quindi soltanto gli ombrelli di Francia e Regno Unito. Il Regno Unito ha unicamente i sottomarini lanciamissili balistici, la Francia anche i caccia appositamente sviluppati. Al di là di piccoli inghippi tecnici e di qualche polemica sull’efficacia, le armi nucleari dei due Paesi europei sono credibili, e questo è fondamentale. Perché il punto centrale, in termini di deterrenza, è la credibilità della minaccia: se serve, il sistema deve essere funzionante, quindi in grado di sparare. La deterrenza, insomma, non dipende esclusivamente dall’impegno di Donald Trump, ma è vero che Francia e Regno Unito hanno armi proprie. L’apertura di Macron a rendere disponibili le armi nucleari francesi per difendere tutta l’Europa ha fatto scalpore proprio perché si tratta di un passo che non era stato ancora contemplato. Poi chiaramente subentrano la capacità e la volontà francese di impegnarsi e di comunicare tale impegno alla Russia. Perché se la Russia non ti prende sul serio, allora cade l’effetto della deterrenza. Riassumendo: è importante l’impegno francese, ma lo è altrettanto la reazione indotta nella Russia».
La NATO stessa ha chiarito che il controllo politico sulle armi nucleari è dei singoli Stati che le possiedono. Come si può aggirare questo principio?
«Ad oggi, infatti, i Paesi che hanno armi nucleari le tengono per loro. La Francia ora ha detto: noi allargheremo l’utilizzo delle nostre armi a deterrenza non solo per la Francia ma per gli altri Paesi europei, anche se chiaramente rimarranno sotto uno stretto controllo francese. I motivi sono chiari. E poi, nel momento in cui inizi a mettere le decisioni in votazione, la credibilità della deterrenza nucleare già viene meno. Per essere credibile, devi essere in grado in ogni momento di poter usare le armi che presenti come deterrenza».
È interessante un quesito, emerso ieri sul Wall Street Journal: oggi Trump sarebbe disposto a rischiare New York per rispondere a un attacco nucleare russo su suolo europeo? E Macron sarebbe disposto a rischiare una rappresaglia su Parigi?
«È una domanda a cui difficilmente si può dare una risposta certa. In questo momento l’impressione è che gli Stati Uniti non siano disposti a rischiare Los Angeles per difendere Bratislava. Poi lo stesso quesito si può porre per la Francia, e qui, ora, la risposta sembra più positiva nelle intenzioni mostrate in queste settimane. Ma anche per un motivo logico, di deterrenza che è continentale».
Dal suo punto di vista, è pertinente oggi parlare di deterrenza nucleare o c’è il rischio che tali discussioni contribuiscano a creare incertezza e persino paura e quindi decisioni poco lucide?
«Spesso il dibattito politico tende a mettere in secondo piano l’importanza di tale elemento, come se non avesse mai giocato un ruolo. Ma limitandosi al presente, l’atteggiamento in particolare dei Paesi dell’Est Europa ci suggerisce che c’è preoccupazione. Polonia e Lituania hanno iniziato a parlare di mine lungo il confine con Bielorussia e Russia. Abbiamo ragione di credere che il venir meno della deterrenza nucleare crei preoccupazione in particolare in quei Paesi che sarebbero le prime vittime di una eventuale maggiore aggressività russa. La vita sicura e il benessere economico che abbiamo avuto negli ultimi 80 anni hanno un costo, anche se può non piacerci, e l’ombrello nucleare ne fa parte».