La famiglia Bongo e la musica: quando la dittatura attirava le superstar americane

La musica, per la famiglia Bongo, era una faccenda d'amore. Ma anche di affari. Tant'è che, per anni, il Gabon ha utilizzato parte delle sue immense risorse petrolifere per attirare le popstar più acclamate a livello globale. Per esibirsi nel Paese, sì, ma anche per lavorare alle produzioni locali. Milioni e milioni di dollari, così, sono finiti nelle tasche di artisti americani (e non solo). Felici, da parte loro, di lavorare in Africa. Finché non sono stati criticati per aver sostenuto, di fatto, una dittatura.
I militari, la scorsa settimana, hanno rovesciato l'oramai ex presidente Ali Bongo Ondimba. Sostenendo che le elezioni del 25 agosto, prive di osservatori internazionali, erano viziate. Dopo cinquantasei anni, dunque, una vera e propria dinastia è tramontata. E con essa, appunto, sono tramontati pure l'amore e le spese, folli, per le star della musica. A discapito, evidentemente, dei cittadini comuni. Le cui condizioni, precarie, non sono mai state un tema.
La compagna di Bob Marley
In principio, all'epoca di Omar Bongo, salito al potere nel 1967, fu James Brown. Il padrino del soul, proprio lui. Secondo una biografia, citata da Semafor, Brown si esibì con la sua band in occasione del trentanovesimo compleanno di Omar. Da quell'esibizione nacque una vera e propria relazione professionale, con tanto di contratto multimilionario. E relative, incredibili derive. Come il fatto che il promoter di Brown, Bob Patton, finì per diventare uno dei consiglieri del presidente. E, ancora, per produrre il disco del figlio di Omar, Alain o semplicemente Ali. Il presidente appena deposto.
Al disco, intitolato Brand New Man e pubblicato nel 1978, partecipò anche Fred Wesley, storico trombonista di Brown. Fu definito un album disco-funk afropop tipicamente anni Settanta. Di Alain, nella copertina, si diceva che mostrasse una comprensione unica a livello di interpretazione dei testi.
È verosimile pensare che, a trasmettere ad Alain la passione per la musica, fu la madre, Josephine. Che, alla fine degli anni Ottanta, dopo aver divorziato, si reinventò come Patience Dabany pubblicando, a sua volta, diversi album.
La sorella di Alain, Pascaline, negli anni Novanta balzò agli onori della cronaca poiché venne nominata ministro degli Esteri dal padre. Ma, internazionalmente, guadagnò le copertine perché, nel 1980, quando aveva appena ventitré anni, fu compagna di Bob Marley. La superstar del reggae, proprio lui. Una storia, questa, ripercorsa dal libro Bob Marley et la fille du dictateur di Anne-Sophie Jahn. Pascaline all'epoca studiava negli Stati Uniti. Invitò Marley a esibirsi con la sua band a Libreville, la capitale del Gabon, nel 1980. La relazione, secondo l'autrice del libro, una giornalista, durò fino alla morte di Marley, l'anno seguente.
Negli anni Novanta, invece, a subire il fascino della famiglia Bongo fu Michael Jackson. Che, puntuale, si presentò a Libreville nel febbraio del 1992. Accompagnato da un entusiasmo pazzesco e da tanta, tantissima curiosità da parte dei fan. Jackson, secondo le cronache dell'epoca, passò del tempo assieme a Omar Bongo e ad altri membri della famiglia.
«Non erano liberi»
Sebbene Alain (o Ali) Bongo rinunciò a una carriera nella musica dopo essere entrato in governo, prima come ministro e poi, nel 2009, alla morte del padre, come presidente, in molti affermano che il primo, forse unico, vero amore siano le canzoni. «È quello che voleva fare davvero» ha confidato a Semafor un dirigente dell'industria musicale. «È un pianista molto abile».
La generosità, negli anni, della famiglia Bongo ha permesso a molti artisti americani ed europei di arrivare a Libreville. Per esibirsi o, dicevamo, collaborare ad album di musicisti locali. Il sospetto, tuttavia, è che questo andirivieni avvenisse a discapito dei cittadini e del loro benessere. Judy Mowatt, una delle coriste di Bob Marley, descrisse così il Gabon sotto Omar Bongo, nel 1980: «Non erano colonizzati ma non erano liberi. Il Gabon era un Paese neocoloniale governato da un africano».
Ali Bongo, dal canto suo, ha spinto e speso molto per fare di Libreville un polo della musica. Nel 2015, aveva annunciato una collaborazione con il Berklee College of Music di Boston per creare un istituto di musica africana in città. A sostenerlo anche il rapper senegalese-americano Akon e la star nigeriana Davido. Nulla, tuttavia, è emerso. Addirittura, la collaborazione è stata sospesa per instabilità politica. Privatamente, invece, Ali ha continuato a praticare il suo hobby preferito. Anche rappando con artisti hip hop gabonesi.
La questione morale
Il rapporto, intenso e intrecciato, fra la dinastia dei Bongo e la musica ha sollevato, in questi giorni, non poche questioni etiche e morali. È probabile che molti artisti, fra quelli citati, abbiano accettato di esibirsi o collaborare con la famiglia Bongo senza considerare o conoscere il quadro generale. E la situazione, soprattutto, del Gabon, un Paese che a dispetto delle sue ricchezze, fra cui il petrolio, «vanta» un tasso di povertà del 33% fra la popolazione. Un disastro. Si spiegano anche così le scene di giubilo per le strade di Libreville non appena si è diffusa la notizia del colpo di Stato.