L’Intervista

«La funzione di mediatore è essenziale»

Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea all'Università Cattolica di Milano, è uno dei massimi studiosi dei rapporti tra Stato e Chiesa
© AP/Alessandra Tarantino
Dario Campione
25.03.2022 06:00

Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano, è uno dei massimi studiosi dei rapporti tra Stato e Chiesa. A lui chiediamo un giudizio sul tentativo di mediazione avviato da papa Francesco.
«La funzione del Papa come mediatore e come uomo di pace ha radici antiche. Già nel ’700 il pontefice era definito “Padre comune” e veniva chiamato a mediare nei conflitti tra corti europee. Un ruolo accresciuto dopo la fine del potere temporale, soprattutto a partire da Leone XIII e da Benedetto XV, con i quali la pace divenne un obiettivo prioritario. In questo contesto, Francesco mostra una grande sensibilità, una “passione” per la pace, e tenta di tenere assieme elementi difficili da coniugare: chiarezza di giudizio su aggressori e vittime aggredite, che pure ha esplicitato sempre di più con il passare dei giorni; esigenza di mantenere aperti canali di comunicazione tra le parti in conflitto, così come dimostra la visita, del tutto fuori dal protocollo, all’ambasciata russa; necessità di non interrompere il dialogo ecumenico con il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill I».

Un patriarca che, però, ha mostrato, quantomeno nei primi giorni del conflitto, di voler sposare le tesi nazionalistiche e anti-occidentali di Putin.
«Purtroppo, le prese di posizione di Kirill sono appiattite su quelle del presidente russo, con l’aggravante di una condanna “metafisica” dell’Occidente e dei suoi valori. C’è da osservare, tuttavia, che dopo il colloquio di qualche giorno fa proprio con Francesco, forse qualcosa è cambiato. Anche Kirill ha usato la parola “pace” e ha evitato di ripetere le cose dette in precedenza. Merito sicuramente dell’atteggiamento fermo di Francesco».

Il Papa è stato fortemente criticato da più parti di essere troppo «equidistante». Il «New York Times» ha scritto che Francesco «rischia di scivolare fuori dalla sua elevata base morale per finire in uno spazio oscuro».
«Il Papa non sta salvando sé stesso, tutti sanno che è nel suo carattere prendere posizioni forti. Se non lo fa, in questo momento, è per perseguire un obiettivo superiore: svolgere la sua funzione di mediatore e trovare una possibilità di pace per l’Ucraina. In questo senso, le critiche mi sembrano un po’ miopi».

Ma in questo momento, secondo lei, il Papa lavora soltanto per un immediato cessate il fuoco o ha altri obiettivi?
«Francesco pone certamente una questione fondamentale: come si esce da questa guerra? In simili frangenti, mentre si combatte si prepara sempre il dopo. Non bisogna ripetere gli errori compiuti alla fine della Prima Guerra mondiale, che portarono in modo dritto a un secondo conflitto. Servirà chiudere questa pagina drammatica con una robusta volontà di pace e con un grande accordo bassato su un giudizio negativo della guerra».

Lei di recente ha pubblicato uno studio sui rapporti tra Pechino e il Vaticano (L’Accordo tra Santa Sede e Cina. I cattolici cinesi tra passato e futuro, Urbaniana). Che ruolo gioca oggi Xi Jinping? 
«La Cina ha una posizione ambigua, ma non per questo negativa. È a disagio di fronte alla guerra, che ne limita l’espansione economica. Xi non è del tutto allineato alle posizioni russe, e forse non è nemmeno interessato a saldare un blocco orientale da contrapporre all’Occidente, come invece vorrebbe Putin».

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