Religione e politica

La guerra di parole dei patriarchi di Kiev e Mosca

Kirill ed Epifanio sono schierati ciascuno con il proprio governo – Entrambi invocano la benedizione di Dio sui soldati dei rispettivi eserciti
©Russian Orthodox Church Press Service
Dario Campione
05.01.2023 06:00

Non è un messaggio di pace, purtroppo, quello rivolto alle rispettive comunità dai primati delle Chiese ortodosse russa e ucraina. Kirill ed Epifanio, infatti, anche nei discorsi più recenti, non chiedono né un cessate il fuoco né la fine delle ostilità. Al contrario, restano schierati in modo netto dalla parte dei rispettivi governi. E utilizzano toni e parole quantomeno inusuali per chi dovrebbe professare la fratellanza universale.

Il messaggio di Epifanio

Nel messaggio natalizio diffuso il 29 dicembre scorso (e pubblicato integralmente sul sito Internet del patriarcato), il metropolita di Kiev ha parlato «delle prove più dure della guerra» affrontate dal popolo ucraino. «Non volevamo questo conflitto, come popolo cercavamo di vivere pacificamente, avendo comprensione di tutti i nostri vicini, ma il nemico astutamente e a tradimento ha rotto la pace e attaccato la nostra terra, spargendo sangue, seminando morte, volendo distruggere la nostra statualità e la nostra identità ucraina. Più di trent’anni fa - ha proseguito Epifanio - ci siamo liberati dalla schiavitù secolare (il comunismo sovietico, ndr), ci siamo liberati del giogo, siamo diventati indipendenti e abbiamo iniziato a costruire il nostro Stato sovrano. Coloro che ci tenevano prigionieri non potevano tollerare i nostri risultati e il nostro successo. La malizia diabolica e l’invidia li hanno spinti a iniziare una guerra, ma in essa saranno sicuramente sconfitti, perché la verità è dalla nostra parte. E dov’è la verità, lì c’è Dio, e con Dio vinceremo. [...] In questi giorni di festa, chiediamo al Signore con un sentimento speciale di aiutarci a superare gli avversari che hanno portato dolore a casa nostra, di aiutare finalmente a espellere l’invasione straniera dalla terra ucraina e, grazie alla vittoria della verità, di stabilire una pace giusta e duratura. […] Ricordiamo coloro che difendono la verità e la libertà: i nostri soldati, che ora ci stanno difendendo dall’aggressione russa. Le preghiere più calorose e gli auguri più sentiti vengono ascoltati oggi per i nostri nuovi eroi».

Le giustificazioni di Kirill

Invoca a sproposito il Dio della guerra, Epifanio, così come qualche giorno prima, il 22 dicembre, nell’assemblea diocesana della città di Mosca, aveva fatto Kirill nel tentativo, grottesco, di trovare una giustificazione religiosa al massacro in atto da febbraio.

«Se non ci fossero sacerdoti nelle nostre truppe, la natura delle ostilità sarebbe completamente diversa - aveva spiegato il patriarca russo parlando ai presbiteri della capitale - Il prete, per quanto sia obbligato a rafforzare lo spirito militare e a sostenere i soldati, allo stesso tempo, per il fatto stesso della sua presenza, umanizza l’ambiente dell’esercito. Un guerriero cristiano farà il suo dovere onestamente, ma non commetterà crimini di guerra, non mostrerà crudeltà, perché ha convinzioni cristiane. […] Un prete deve ispirare il suo gregge a svolgere il dovere militare, a svolgere un servizio degno».

Ascoltando le parole dei sacerdoti, aggiungeva Kirill, dal primo giorno a fianco di Vladimir Putin nella folle avventura bellica, «i soldati si terranno lontano dalla crudeltà, non commetteranno crimini di guerra. Penso che questo sia il ministero dei nostri pastori. La stessa presenza del nostro clero nella zona di guerra è di grande importanza sia per il nostro esercito sia per gli stessi sacerdoti. E Dio dia a tutto il nostro clero forza e comprensione della necessità del lavoro pastorale che svolge».

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