L’intervista

«La guerra in Yemen torna a colpireoltre la frontiera dell’Arabia Saudita»

Sul brutale conflitto per procura in corso nel Paese arabo abbiamo sentito il professor Giuseppe Acconcia
Un bambino yemenita osserva il fumo che si leva da un quartiere della capitale San’a a seguito di un bombardamento aereo condotto contro la città da parte di velivoli militari della coalizione a guida saudita che combatte i ribelli houti.
Osvaldo Migotto
09.03.2021 06:00

Si intensifica in Yemen la guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran che ha ridotto alla fame 16 milioni di persone, ossia oltre la metà della popolazione. Quali prospettive per questo Paese? Lo abbiamo chiesto all’esperto di relazioni internazionali Giuseppe Acconcia.

Nonostante Biden abbia chiesto la fine della guerra in Yemen, nel martoriato Paese arabo i combattimenti proseguono. Cosa può dirci su questo conflitto?
«La guerra civile in Yemen è scoppiata dopo le manifestazioni di piazza scatenatesi nel Paese nel 2011 sull’onda lunga delle cosiddette primavere arabe. I principali protagonisti di questo conflitto sono l’Arabia Saudita che sostiene il regime yemenita e l’Iran che sostiene i ribelli houti, milizie che normalmente risiedono nel nord del Paese ma che ora controllano anche la capitale San’a. Riad vorrebbe riprendere il controllo di tutto il Paese e in particolare della capitale San’a. Per cui è evidente che le operazioni militari saudite di questi ultimi giorni, con bombardamenti e l’uso di droni, mirano a riconquistare con ogni mezzo possibile la capitale».

Ma a pagare il prezzo più alto sono ancora i civili?
«Sì, entrambe le parti affermano che non tollereranno altri attacchi che avranno come obiettivo la popolazione civile, ma è evidente che ancora una volta sono i civili a pagare le conseguenze di questi attacchi. La peculiarità di questa avanzata da parte dei sauditi è che ha avuto come conseguenza una serie di bombardamenti, da parte dei filo-iraniani, contro gli impianti petroliferi di Ras Tanura, in Arabia Saudita. Questi attacchi mirati contro obiettivi sauditi fanno pensare a uno scontro diretto tra Iran e Arabia Saudita. Tutto questo mentre l’Iran ha chiuso le porte all’amministrazione Trump che voleva rilanciare i negoziati con Teheran sul nucleare iraniano. Il regime degli ayatollah ha infatti tolto agli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica la possibilità di visionare i siti nucleari iraniani».

Quindi resta alta anche la tensione tra Iran e Stati Uniti?
«Sì, il 15 febbraio milizie sciite vicino all’Iran avevano attaccato una base USA ad Erbil (nel Kurdistan iracheno ndr), mentre il 26 febbraio gli Stati Uniti avevano bombardato una milizia filo iraniana in Siria».

Mentre l’Arabia Saudita cerca di conquistare San’a, gli houti stanno cercando di conquistare Marib, regione ricca di petrolio e ultima roccaforte del Governo filo-saudita nel nord del Paese. Si tratta di una battaglia decisiva?
«Sì, si tratta di una battaglia molto importante perché controllare questa zona significa controllare la capitale San’a, le zone costiere e l’intero Paese. Ciò indica un potere sempre più forte da parte degli houti e ciò non fa certamente piacere a Riad. Va ricordato che in un rapporto delle Nazioni Unite del 2019 l’Arabia Saudita è accusata di possibili crimini di guerra perpetrati in Yemen. Evidentemente ancora oggi ci troviamo in un contesto in cui la popolazione locale sta fortemente subendo le conseguenze dello scontro armato in corso. Ci sono anche tanti casi di sparizioni forzate tra i civili e di giornalisti detenuti per il semplice fatto di voler riferire sugli orrori di questa guerra».

Chi sono i responsabili?
«Sono entrambe le fazioni in campo a macchiarsi di crimini; sia la fazione houti sia le milizie sostenute dall’Arabia Saudita se la prendono spesso con i soggetti più fragili, come i giornalisti che riferiscono di tale conflitto in un contesto di carestia che sta decimando la popolazione locale, per non parlare poi dell’emergenza coronavirus che aggrava ulteriormente la situazione economico-sociale del Paese».

In questa situazione di conflitto totale per gli operatori umanitari diventa quasi impossibile dare manforte alla popolazione?
«Sì, vi sono solo gli operatori di Medici senza frontiere che continuano a lavorare in Yemen nonostante tutto. Sono pochi anche i giornalisti stranieri che si recano in Yemen per raccontare questo conflitto. Evidentemente a seguito degli attacchi agli impianti petroliferi e allo scontro continuo tra le milizie houti e quelle sostenute dall’Arabia Saudita è molto difficile fornire aiuti la popolazione locale che è stremata da anni di guerra civile. Si stima che siano almeno 130.000 le persone morte durante questa interminabile guerra civile. Per cui stiamo parlando di una situazione disastrosa e di uno Stato fallito».