La storia

La nascita dei QR code, quasi per gioco

Oggi, complice la pandemia, sono uno strumento popolarissimo – Il suo inventore, Masahiro Hara, trovò l’ispirazione negli anni Novanta durante una partita di «go» – La disposizione delle pietre sulla tavola gli rivelò la soluzione
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Marcello Pelizzari
25.10.2021 06:00

Chissà quante volte, illuminati soltanto da una lampada al neon, isolati com’erano nel loro ufficio fra pile e pile di libri e cavi elettrici, Masahiro Hara e Takayuki Nagaya avevano detto basta. O, peggio, si erano ripromessi che all’indomani avrebbero cambiato vita. E lavoro. A maggior ragione quando, stufi di sgobbare in due su un solo computer, avevano chiesto alla direzione di poterne avere un secondo. No, risposero dai piani alti della Denso Wave, una società che all’epoca produceva parti di automobili. E ancora: il budget per quel progettino, beh, era pari a zero. Colpa della bolla speculativa che colpì il Giappone nel 1992. E che spinse il governo e l’industria a non investire più nell’innovazione. A distanza di anni, il «parto» generato in quell’ufficetto da Hara e Nagaya è ovunque. Soprattutto, ha cambiato le nostre vite. Parliamo del QR code, già.

Ah, maledetti inventari
Hara, a quei tempi, ne aveva fatto (quasi) un’ossessione. La gestione degli inventari era un disastro, serviva al più presto una soluzione in tal senso. Anche perché i codici a barre potevano contenere relativamente poche informazioni. E nell’industria dell’automobile, una singola scatola di componenti spesso era accompagnata da dieci codici a barre. Che andavano letti, tutti, singolarmente. Una fatica. La soluzione arrivò durante una pausa pranzo. A suggerirgliela, strano ma vero, una partita a go. Un gioco strategico cinese, popolarissimo in tutta l’Asia orientale. Hara guardò il modo in cui le pietre erano disposte sulla tavola. E capì. «Sì, possiamo usare uno schema simile per trasmettere informazioni». Eureka.

Oggi, i cosiddetti QR code possono gestire duecento volte più informazioni di un codice a barre standard. Hanno rivoluzionato il nostro modo di fare acquisti e pagare la merce, viaggiare e accedere alla rete. Hanno semplificato le nostre vite. Recita un proverbio: «Il mondo è una partita di go, le cui regole sono state inutilmente complicate». Voilà. Complice il coronavirus – e grazie ai certificati COVID – i QR stanno vivendo una vera e propria rinascita. In Giappone, i primissimi «esemplari» vennero usati nell’industria delle scommesse e in particolare nell’ippica. Hara, anni dopo, pur non essendo uno scommettitore incallito spiegò che – ogniqualvolta passava nei pressi di una ricevitoria – provava un forte senso di orgoglio. Proprio così, la sua invenzione aveva trovato un’applicazione concreta anche al di fuori del campo automobilistico.

L’esplosione grazie agli smartphone
A garantire una diffusione globale dei QR code, tuttavia, sono state le fotocamere degli smartphone. Capaci, con gli sviluppi recenti, di scannerizzare rapidamente questi quadratoni. La pandemia ha fatto il resto. «Non avrei mai pensato che la nostra invenzione potesse aiutare a migliorare la sicurezza delle persone» ha affermato, di recente, Hara. Il quale, ora, sta studiando nuovi, possibili sviluppi. Sempre nel campo medico.

Denso Wave, sin dagli albori, promosse una politica aperta in termini di brevetti. Anche per incoraggiare altre aziende a promuovere e migliorare questa tecnologia. Una mossa che, sicuramente, ha consentito ai QR code di guadagnare una dimensione globale. E pazienza se Hara non ha visto il becco di un quattrino. «Purtroppo non riceviamo nessuna commissione ogni volta che qualcuno usa un QR code» la sua dolceamara conclusione.