«La percezione sui russi non è ovunque la stessa»

Luca Steinmann, collaboratore del CdT, racconta la dura quotidianità della guerra ucraina, una realtà fatta di scontri e di drammi umani. Proponiamo alcune sue riflessioni dal Donbass alla base del suo libro «Il Fronte russo».
Spulciando tra le pagine di «Il Fronte russo» si sottolinea che quella in Ucraina è una guerra fratricida. Come vivono, oggi, i cittadini filorussi a Donetsks, Lugansk, Kherson e Zhaporizhzhia, l’«operazione speciale militare» lanciata da Mosca? E quanto è ancora diffuso il sostegno per i «liberatori»?
«Ciò varia molto da zona in zona. Nel Donbass le simpatie verso i russi sono maggiori mentre nell’Ucraina meridionale, a Kherson e Zhaporizhia, si respira molta più diffidenza se non aperta ostilità nei loro confronti. In generale si può dire che chi scatena la guerra attiri su di sé l’ostilità della popolazione. Per questo molti (non tutti) gli abitanti russofoni di Donetsk e Lugansk sono ostili a Kiev dopo essere stati esposti al fuoco del suo esercito dal 2014. Invece nel sud dell’Ucraina e negli altri territori del Donbass che fino all’anno scorso erano in mano ucraina o lo sono fino ad oggi, l’arrivo dei russi si manifesta con piogge di bombe e missili. È quindi comprensibile che molti di coloro che prima della guerra erano filorussi oggi sperano invece che la Russia resti lontana dalle proprie case. Per questo motivo questa guerra sta facendo perdere alla Russia il consenso di migliaia se non di milioni di cittadini ucraini che prima del 24 febbraio 2022 le erano favorevoli».
Oltre alla volontà di voler vivere in pace, la gente comune con quale spirito affronta la quotidianità nelle province sotto il controllo delle milizie filorusse e dell’esercito di Mosca?
«Anche qui bisogna differenziare. La minaccia maggiore è legata alla sicurezza. La città di Donetsk, dove ora mi trovo, è semi circondata dall’esercito ucraino che negli ultimi mesi ha ripetutamente bombardato il centro mietendo tante vittime civili. Qui il problema principale è dunque legato alla sopravvivenza dalle bombe, come lo è in altre città della regione controllate dagli ucraini ed esposte al fuoco russo. A Donetsk, Mariupol e in altre città recentemente prese dai russi i missili hanno colpito le cisterne e i generatori elettrici, lasciando gran parte della popolazione senza acqua, gas ed elettricità. Nei territori conquistati dai russi nell’ultimo anno i cittadini devono poi adattarsi al nuovo sistema di potere istituito da Mosca. Chi non vuole andarsene deve registrarsi perso le nuove amministrazioni filorusse, aprire conti in banca russi ed abituarsi a vivere sotto un nuovo governo. Nella consapevolezza che però prima o poi potrebbero trovarsi di nuovo a vivere in Ucraina».
L’acciaieria Azovstal e la centrale nucleare di Zhaporizhzhia sono due luoghi simbolo di questa guerra. Trovarsi in mezzo a due fuochi è, per più motivi, altamente rischioso. Quali sono stati i momenti più difficili?
«I reportage da Azovstal, e in generale nella battaglia di Mariupol, sono stati ricchi di adrenalina e di pericoli ma per certi versi più facili da raccontare rispetto alla centrale nucleare. A Mariupol mi muovevo infatti in libertà e potevo cercare e verificare le notizie liberamente. A Zaporizhya, invece, ero accompagnato da russi che mi mostravano i segni dei bombardamenti ucraini intorno ai reattori nucleari, che ho potuto verificare, senza però permettermi di ispezionare la base e quindi di verificare se fosse vero quanto invece sostiene Kiev: ovvero che i soldati russi sparano contro i loro, proprio da dentro la centrale. Si tratta di situazioni molti delicate. Oltre al rischio di catastrofe nucleare c’è quello di ritrovarsi a fare propaganda per una delle due parti in causa pur di ottenere lo scoop. Ho cercato di evitarlo».
Le autorità da una parte e dall’altra, usano l’arma della propaganda per disorientare o intimorire l’avversario. In questo quadro complesso che libertà d’azione esiste per la stampa?
«Le gerarchie militari russe considerano i giornalisti, a prescindere, come dei nemici. Figuriamoci cosa pensavano di me quando a fine febbraio 2022 mi sono trovato ad essere quasi l’unico testimone non russo nel Donbass, quando loro stavano attaccando. Mi accusavano di essere un propagandista americano e una spia e in due casi mi hanno espulso dai loro territori, dove però sono riuscito a tornare in breve tempo. All’inizio ero circondato da un velo di ostilità. Nessuno voleva parlare con me e permettermi di lavorare. Mi rendevo conto che traducevano e leggevano puntualmente ogni mio articolo e più volte ho ricevuto pressioni. Ma ho potuto sempre muovermi liberamente. Così, nel corso del tempo, sono riuscito a fare capire a molti che non sono un propagandista né per loro né contro di loro e che ero sinceramente interessato a raccontare questa guerra in modo equilibrato. A poco a poco sono riuscito a conquistare la fiducia di molti di loro, anche se non di tutti, e a potere raccogliere sempre più informazioni. Lavorare rigorosamente come giornalisti nel mondo russo è difficile ma non impossibile, almeno per i giornalisti occidentali».
Sui media occidentali si è spesso riferito dei soldati di Putin come dei militari improvvisati. Eppure «L’onda rossa che avanza», come si legge nel libro, è più di un’ipotesi. E l’Occidente attende la grande offensiva russa e continua a riarmarsi.
«Sicuramente l’esercito russo non era pronto a condurre una lunga e pesante guerra come questa. Secondo i piani iniziali l’«operazione militare speciale» sarebbe dovuta durare qualche giorno e i soldati avrebbero dovuto sedare la guerriglia urbana contro di loro dei gruppi armati e di quelli nazionalisti ucraini («demilitarizzazione e denazificazione») e invece i russi si ritrovano ora a combattere una guerra di fanteria con armi spesso vecchie e desuete contro un nemico meglio equipaggiato e inaspettatamente motivato. Tuttavia, nei soldati russi vedo generalmente una forte motivazione a combattere. A quasi nessuno di loro piace la guerra ma pensano che la sconfitta sarebbe una tragedia».
«Il Fronte russo» è uno dei pochi libri che parlando quasi in presa diretta di un conflitto tuttora in corso e di cui si temono risvolti imprevedibili (leggi: Terza Guerra Mondiale). Qual è la percezione sul campo?
«La percezione diffusa è che la guerra sarà ancora lunga e che non sarà più possibile ricucire i rapporti tra Russia e Occidente, almeno nel breve periodo. Tra i russi è diffusa l’idea che si tratti di una guerra totale. Qualche giorno fa un soldato mi ha chiesto: «Ma voi in Svizzera e Italia come vi state preparando ad affrontare l’eventualità della Terza Guerra Mondiale? Penso che questo la dica lunga».
