Il caso

La «polizia non ufficiale» cinese che opera soprattutto in Italia

Secondo un report di Safeguard Defenders, queste «stazioni di polizia oltremare» sarebbero diffuse in tutto il mondo: «Intimidiscono e rispediscono in patria i cinesi ricercati dal governo»
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Michele Montanari
05.12.2022 12:30

Una «polizia non ufficiale» con sedi in tutto il mondo incaricata di intercettare i cinesi fuggiti all'estero e rispedirli in patria. E il Paese che ospita il maggior numero di queste «stazioni di polizia non ufficiali» sarebbe l'Italia. È quanto emerge da un rapporto di Safeguard Defenders (titolo: Patrol and persuade), ONG per i diritti umani con sede a Madrid. Stando al report pubblicato in esclusiva dalla CNN, gli Overseas Police Service Centers (stazioni di polizia oltremare) sarebbero più di 100 in tutto il mondo e la Penisola ne ospiterebbe 11: a Milano, Roma, Bolzano, Venezia, Firenze, Prato (nella città toscana è presente una delle più grandi comunità cinesi d'Italia) e in Sicilia (la città non è specificata). Il capoluogo lombardo, nel maggio del 2016, sarebbe stato utilizzato dall'agenzia di pubblica sicurezza di Wenzhou come «banco di prova» europeo per monitorare i cinesi all'estero e costringere quelli considerati dissidenti a tornare a casa. Nel 2018 anche l'agenzia di pubblica sicurezza di Qingtian avrebbe istituito una stazione «pilota» a Milano, poi arrivata anche a Parigi.

«Per intimidire e rimpatriare»

In un precedente documento di Safeguard Defenders, pubblicato a settembre, si parlava di 54 stazioni sparse per il mondo, ma recentemente ne sono state identificate altre 48, per un totale di 102 in diversi Paesi, tra cui Francia, Germania, Italia e Austria. Ma anche Spagna, Regno Unito, Paesi Bassi, Svezia, Croazia, Serbia, Romania, Repubblica Ceca, Grecia, Canada, Australia e diversi Stati africani. Il Dragone ha fatto sapere che gli uffici sono semplicemente «stazioni di servizio» gestite da volontari istituite per dare assistenza ai cittadini cinesi nelle procedure burocratiche, come il rinnovo del passaporto o della patente di guida. L'indagine condotta da Safeguard Defenders dice però altro: le stazioni servirebbero a «monitorare, intimidire e in alcuni casi rimpatriare i cittadini cinesi che vivono all’estero». La ONG afferma di aver raccolto prove di intimidazione volte a costringere le persone residenti in Italia a tornare in patria. E cita il caso di un operaio accusato di appropriazione indebita che è tornato nel Paese asiatico dopo 13 anni, scomparendo senza lasciare tracce. Stando a Safeguard Defenders, nonostante le stazioni non siano gestite direttamente da Pechino, «alcune dichiarazioni e politiche iniziano a mostrare una guida più chiara da parte del governo centrale nell'incoraggiarne la creazione». Inoltre, non vi opererebbero volontari: la ONG ha verificato come almeno 135 dipendenti della varie stazioni siano regolarmente stipendiati. Secondo il settimanale L'Espresso solo una cifra compresa tra l’1% e il 7% di ricercati dalla Cina rientra nel Paese attraverso le vie ufficiali, mentre gli altri verrebbero persuasi.

Laura Harth, campaign director della ONG, ha dichiarato: «Monitoriamo i dati cinesi e ad aprile abbiamo ricevuto informazioni dal ministero della pubblica informazione che hanno mostrato come 210.000 persone, in un solo anno, siano state persuase a tornare. Quello che vediamo da parte della Cina è un crescente tentativo di reprimere il dissenso in tutto il mondo, di minacciare le persone, di molestarle, di assicurarsi che siano abbastanza spaventate da rimanere in silenzio o da rischiare di essere rispedite in patria contro la loro volontà». Alcune persone costrette a tornare a «casa» sarebbero state nella blacklist dell'operazione Fox Hunt (caccia alla volpe), una campagna organizzata dal presidente Xi Jinping per perseguire i funzionari considerati corrotti che erano fuggiti all'estero. Harth ha inoltre parlato del metodo cinese, che inizierebbe con «telefonate, poi minacce ai parenti rimasti in Cina, infine l’impiego di agenti sotto copertura all’estero, che possono arrivare anche a pratiche di adescamento e rapimento». Secondo la direttrice della campagna della ONG: «Va condannato il fatto che le autorità cinesi abbiano utilizzato l'Italia come banco di prova per queste stazioni».

Perché proprio l'Italia?

L'Italia, dati ISTAT del 2021 alla mano, ospita 330.000 cittadini cinesi e potrebbe essere terreno fertile per una potenziale influenza da parte di Pechino, anche per i numerosi accordi bilaterali tra la Penisola e il colosso asiatico. L'Italia ha firmato una serie di accordi bilaterali di sicurezza con la Cina a partire dal 2015, ed è «rimasta in gran parte in silenzio durante le rivelazioni di queste presunte attività sul suo territorio», si legge sulla CNN, che ricorda «una cerimonia a Roma per l'apertura di una nuova stazione che ha visto la partecipazione di funzionari di polizia italiani nel 2018, secondo i video pubblicati sui siti web cinesi, a dimostrazione degli stretti legami tra le forze di polizia dei due Paesi». Il 27 aprile del 2015, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e il suo omologo cinese Wang Yi firmarono quattro accordi di cooperazione internazionale, fra cui, citiamo da Il Post, «un memorandum per pattugliamenti congiunti delle due polizie, che vennero poi presentati dal ministro dell’Interno Angelino Alfano l’anno successivo e iniziarono nel maggio 2016 a Roma e Milano, nell’ambito della lotta al terrorismo, al crimine organizzato internazionale, all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani». Il rapporto di Safeguard Defenders rileva infine che «pur avendo sul proprio territorio il maggior numero di avamposti di collegamento, l'Italia è tra i pochissimi Paesi europei che non ha ancora annunciato pubblicamente un'indagine sulle stazioni di polizia cinesi d'oltremare o ne ha dichiarato l'illegalità».