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La prima rifugiata siriana a diventare pilota arriva a Lugano: «L'istruzione fondamentale»

L'incredibile storia di Maya Ghazal, più forte delle avversità e degli stereotipi: «A volte basta una possibilità per cambiare il proprio destino»
© CdT/Chiara Zocchetti
Mattia Sacchi
15.10.2023 12:30

Nel 1987, dopo aver intervistato 29 astronauti, il filosofo e scrittore Frank White ha teorizzato l’esistenza dell’Overview Effect, il cambiamento cognitivo dove la Terra, vista dallo spazio, viene percepita come una piccola e fragile sfera della vita, nella quale i confini nazionali svaniscono e i conflitti nazionali che dividono le persone diventano meno importanti rispetto all’importanza di collaborare insieme per un mondo migliore. Certo, a volte non è necessario arrivare fino allo spazio per avere la stessa prospettiva. Anche la quota raggiunta da un aereo può bastare, specie se sei una persona che dai conflitti è dovuta fuggire: «Quando sono a bordo di un aereo, portando le persone da una parte all’altra del mondo, ripenso a quando io e i miei connazionali siamo stati respinti all’improvviso dai paesi dove speravamo di trovare rifugio e capisco come i limiti veri non siano quelli segnati dai confini terrestri bensì da quelli del cielo». A raccontare queste sensazioni a è Maya Ghazal (nella foto nella sede del Corriere del Ticino, ndr), la prima rifugiata siriana a diventare pilota d’aerei. La 24enne di Damasco, dal 2021 Goodwill Ambassador per UNHCR, è stata lo scorso 23 settembre a Lugano in occasione del «Secret Hangar 2023», evento organizzato da Air-Dynamic di Raffaella Meledandri all’aeroporto di Agno che ha permesso di raccogliere fondi per la campagna Aiming Higher per garantire un accesso all’istruzione per 500mila giovani rifugiati entro il 2030.

«So bene la differenza che può fare la possibilità di andare a scuola per un giovane rifugiato – racconta Maya –. Sebbene in Siria studiassi con ottimi voti, quando sono arrivata in Inghilterra non sono stata ammessa a scuola perché, secondo i dirigenti scolastici, non avevo le giuste qualifiche. Per me è stato un duro colpo, consapevole che senza istruzione non avrei avuto prospettive per il futuro: ho quindi deciso di prendere in mano la mia vita e mi sono messa a studiare da autodidatta. Uno dei pochi testi che avevo a disposizione era di ingegneria e, mentre lo leggevo, mi sono resa conto che apprendevo in fretta i concetti. Inoltre alloggiavo vicino all’aeroporto di Heathrow e vedevo di continuo gli aerei partire e atterrare e ho cominciato a sognare di essere sopra a uno di loro. Non lo dicevo a nessuno per paura di essere giudicata e criticata, ma dentro di me mi ero convinta che un giorno avrei smentito tutti: sono così riuscita ad essere ammessa all’università di ingegneria aeronautica, diventando così pilota. Ora penso a quando, tra qualche mese, sarò in cabina di comando e dirò dal microfono “Questo è il tuo primo ufficiale che parla”: sarà un momento magico, lotto ogni giorno per questo obiettivo».

Per il sogno di una giovane rifugiata che sta per realizzarsi, ci sono quelli di milioni di coetanei che invece si infrangono, spesso nelle maniere più drammatiche: «Quando la guerra in Siria è scoppiata ero un’adolescente e, assieme ai miei fratelli, sono dovuta crescere in fretta, cominciando a pensare alla sussistenza della famiglia. Vedevo mio padre uscire di casa e non sapevo se lo avrei più rivisto. Nonostante queste difficoltà sono stata fortunata perché ora siamo al sicuro. Ma penso ai 14,8 milioni di giovani che non possono studiare: di loro solo il 6% riesce a fare studi superiori. Ragazzi che, come i 110 milioni di sfollati nel mondo, hanno bisogno di almeno un’opportunità: come si può pretendere altrimenti che si integrino e diventino membri attivi della comunità?». Proprio in questi giorni l’Unione Europea ha discusso, non senza polemiche e tensioni, sul nuovo accordo sui migranti: «I singoli paesi, alcuni dei quali hanno chiuso le frontiere, dovrebbero essere consapevoli del dramma che centinaia di migliaia di persone stanno affrontando in queste settimane. È fondamentale unire le forze e trovare soluzioni condivise, che poi sono le più efficaci, in nome di quell’umanità che tocca tutti noi».

Ma come vede il futuro una ragazza che ha già toccato con mano gli orrori della guerra? «Con paura, ma anche con responsabilità ed emozione. Perché so che quello che sto facendo non è solo per me stessa ma anche per milioni di persone che oggi pensano di non avere un domani. Vorrei che la mia storia desse speranza a tutti loro, facendo capire a chi invece ha più possibilità, come gli amici che ho incontrato in Svizzera, quanto il loro aiuto possa fare la differenza».