Il caso

La protesta pro-Palestina degli studenti americani

È cominciata alla Columbia di New York e sta proseguendo in altri atenei prestigiosi fra interventi della polizia, arresti e minacce di disimpegno da parte dei donatori
I poliziotti schierati per sedare una protesta alla Columbia ieri, 22 aprile. © AP
Red. Online
23.04.2024 08:30

Che cosa sta succedendo nelle università americane? Il New York Times, fra gli altri, ha riferito di interventi e arresti della polizia alla New York University. E ancora: a Yale, lunedì, le forze dell'ordine hanno messo le fascette ai polsi dei manifestanti, rei di violazione di domicilio. Le aule della Columbia, invece, ieri sono rimaste chiuse. Gli studenti, semplicemente, sono stati esortati a rimanere a casa. Harvard Yard, la parte più antica del campus di Harvard, è stata chiusa al pubblico. Nelle vicinanze, in atenei come Tufts ed Emerson, gli amministratori hanno cercato di capire come gestire alcuni accampamenti di studenti. Accampamenti sorti, dall'altra parte del Paese, anche in California, a Berkeley.

Meno di una settimana dopo l'arresto di oltre cento manifestanti alla Columbia, dunque, i campus di alcune fra le università più influenti degli Stati Uniti sono (di nuovo) lacerati dal conflitto fra Israele e Hamas o, meglio, dalla drammatica situazione in cui versa la Striscia di Gaza. Nello specifico, gli studenti hanno chiesto ai rispettivi atenei di ridurre i legami finanziari con lo Stato Ebraico e con i suoi fornitori di armi. Le proteste e, in particolare, alcuni cori intonati, d'altro canto, hanno preoccupato e non poco gli studenti ebrei, preoccupati della loro sicurezza. È stata sollevata anche la questione dell'antisemitismo, mentre alcuni membri di facoltà hanno denunciato i modi con cui sono state sedate le proteste. Spiegando che la missione del mondo accademico di promuovere un dibattito aperto è minacciata.

I manifestanti hanno espresso il loro malcontento con un'intensità variabile dopo i massacri di Hamas del 7 ottobre scorso. Quest'ultima ondata di disordini, per contro, ha preso vigore mercoledì scorso, dopo che gli studenti della Columbia hanno eretto un accampamento. La presidente dell'ateneo, Minouche Shafik, al riguardo è stata ascoltata anche al Congresso. Fra le altre cose, ha promesso di punire in maniera più aggressiva le proteste non autorizzate tant'è che all'indomani della sua audizione davanti a una commissione della Camera, guidata dai Repubblicani, ha chiesto alla polizia di New York di sgomberare l'accampamento. Oltre agli arresti, la Columbia ha sospeso molti studenti. Molti professori, studenti ed ex studenti della Columbia, scrive il New York Times, hanno espresso il timore che l'università stia eliminando il libero dibattito, una pietra miliare dell'esperienza universitaria americana.

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L'approccio più duro adottato dalla Columbia, di fatto, ha contribuito a far aumentare le proteste fuori dai cancelli dell'università, dove gli studenti ebrei hanno riferito di essere stati presi di mira con scherni antisemiti. Affermando, altresì, di sentirsi insicuri. L'agitazione newyorkese, ancora, ha contribuito ad alimentare le proteste in altri campus. «Siamo tutti un fronte unito» ha spiegato Malak Afaneh, studente di legge che protesta all'Università della California, a Berkeley. «La nostra protesta è stata ispirata dagli studenti della Columbia che, secondo me, sono il cuore del movimento studentesco, il cui coraggio e la cui solidarietà con la Palestina hanno davvero ispirato tutti noi».

Gli eventi alla Columbia si sono estesi anche a Yale, dove gli studenti si sono riuniti per giorni nella Beinecke Plaza di New Haven, in Connecticut, per chiedere all'università di disinvestire dai produttori di armi. Il presidente di Yale, Peter Salovey, ha dichiarato lunedì che i dirigenti dell'università hanno trascorso «molte ore» in colloqui con i manifestanti, offrendo anche un'udienza con il fiduciario che supervisiona il Comitato aziendale per la responsabilità degli investitori di Yale, salvo poi affermare che i colloqui si sono rivelati infruttuosi. Lunedì mattina, le autorità hanno arrestato 60 persone, tra cui 47 studenti secondo quanto dichiarato dal dottor Salovey. L'università ha aggiunto che la decisione di effettuare gli arresti è stata presa «per la sicurezza dell'intera comunità di Yale e per consentire l'accesso alle strutture universitarie a tutti i membri della nostra comunità». Nelle ore successive agli arresti, però, centinaia di manifestanti hanno bloccato un incrocio cruciale di New Haven.

Lo scenario è stato meno conflittuale in Massachusetts, dove i funzionari di Harvard si sono mossi per limitare la possibilità di proteste chiudendo Harvard Yard fino a venerdì. Gli studenti sono stati avvertiti che avrebbero potuto incorrere in sanzioni universitarie se, ad esempio, avessero eretto tende non autorizzate o bloccato gli ingressi degli edifici. Lunedì, il Comitato di solidarietà per la Palestina di Harvard ha comunicato sui social media che l'università aveva sospeso l'associazione. Il National Students for Justice in Palestine, una confederazione di gruppi universitari, ha dichiarato di ritenere che la decisione è «chiaramente intesa a impedire agli studenti di replicare gli accampamenti di solidarietà». Harvard ha dichiarato in un comunicato di essere «impegnata ad applicare tutte le politiche in modo neutrale rispetto ai contenuti».

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In altre zone dell'area di Boston, i manifestanti hanno creato accampamenti all'Emerson College, al Massachusetts Institute of Technology e alla Tufts University. Ma queste proteste, per ora, sono apparse più modeste di quelle a Yale e a New York, dove i manifestanti hanno costruito un accampamento fuori dalla Stern School of Business della NYU. I funzionari dell'università di New York hanno tollerato la manifestazione per ore, ma lunedì sera hanno avvertito che la loro pazienza si stava esaurendo. Gli agenti di polizia si sono radunati vicino al luogo della protesta mentre i dimostranti ignoravano la scadenza delle 16 per liberarlo. All'imbrunire, le sirene hanno suonato e gli agenti, indossando elmetti e fascette, si sono radunati. I furgoni per il trasporto dei prigionieri attendevano nelle vicinanze. «Studenti, studenti, mantenete la vostra posizione!», hanno gridato i manifestanti. «NYU, ritiratevi». Di lì a poco, gli agenti di polizia hanno marciato sulla manifestazione. «Gli eventi di oggi non dovevano portare a questo risultato» ha dichiarato John Beckman, portavoce dell'università, in un comunicato. Ma alcuni manifestanti, che potrebbero non provenire dalla NYU, hanno superato le barriere e si sono rifiutati di andarsene. Per motivi di sicurezza, l'università ha dichiarato di aver chiesto l'assistenza della polizia.

Alla Columbia, tornando al cuore della protesta, la presidente Shafik ha ordinato che le lezioni di lunedì fossero spostate online «per stemperare il rancore». Shafik non ha fornito immediatamente dettagli su come l'università procederà nei prossimi giorni, limitandosi a dire che i funzionari della Columbia «continueranno a discutere con gli studenti manifestanti e a identificare le azioni che possiamo intraprendere come comunità per permetterci di completare pacificamente il mandato».

Alcuni studenti e membri della facoltà hanno dichiarato che il sostegno alla presidente si sta esaurendo. Non solo internamente, ma anche a livello politico. Lunedì, almeno dieci membri della Camera hanno chiesto le sue dimissioni. «Negli ultimi giorni, l'anarchia ha invaso la Columbia University» ha scritto Elise Stefanik, repubblicana di New York. «Come leader di questa istituzione, uno dei suoi principali obiettivi, moralmente e legalmente, è quello di garantire agli studenti un ambiente di apprendimento sicuro. Da ogni punto di vista, lei è venuta meno a questo obbligo».

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Un portavoce dell'università ha dichiarato che la dottoressa Shafik si è concentrata sull'alleggerimento del conflitto e che «sta lavorando in tutto il campus con i membri della facoltà, dell'amministrazione e del consiglio di amministrazione, nonché con i leader dello Stato, della città e della comunità».

Il timore, evidentemente, è che la sicurezza degli studenti ebrei, ma non solo loro, non possa più essere garantita. «Quando gli studenti ebrei sono costretti a guardare altri che bruciano bandiere israeliane, che invocano il bombardamento di Tel Aviv, che invocano il ripetersi del 7 ottobre, si crea un livello di paura inaccettabile che non può essere tollerato» ha dichiarato Daniel Goldman, democratico di New York, fuori dal Robert K. Kraft Center for Jewish Student Life della Columbia. Non finisce qui: Kraft, ex alunno e proprietario dei New England Patriots, ha lanciato la sua bordata e ha suggerito di mettere in pausa le sue donazioni. «Non sono più fiducioso che la Columbia sia in grado di proteggere i suoi studenti e il suo personale» ha scritto in un comunicato. «E non mi sento a mio agio nel sostenere l'università fino a quando non saranno prese misure correttive».