L’intervista

«La rinuncia USA ai combattimenti non significa un ritiro dall’Iraq»

Le valutazioni di Andrea Beccaro, docente di Studi di Sicurezza e di Studi Strategici all’Università di Torino, sulla mossa annunciata dal presidente americano Biden
Il presidente americano Joe Biden (a destra) lunedì ha ricevuto alla Casa Bianca il primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi. ©AP/Susan Walsh
Osvaldo Migotto
28.07.2021 06:00

Il presidente americano Joe Biden incontrando alla Casa Bianca il primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi ha annunciato che gli Stati Uniti termineranno la loro missione di combattimento in Iraq entro la fine dell’anno. Quali i motivi e le conseguenze di tale mossa? Abbiamo sentito il parere di Andrea Beccaro, esperto di Medio Oriente.

Quali conseguenze possiamo immaginare per l’Iraq con la fine delle operazioni di combattimento delle truppe americane annunciata da Biden?
«Secondo me questo annuncio va un po’ ridimensionato, in quanto giunge dopo quello del ritiro delle truppe USA dall’Afghanistan, per cui si ha un po’ la tendenza a fare un parallelismo tra le situazioni che vivono questi due Paesi. In realtà la situazione afghana e quella irachena sono estremamente diverse l’una dall’altra. La dichiarazione sull’Iraq è più che altro una presa d’atto di quello che è già la realtà sul campo; già nell’aprile di quest’anno gli Stati Uniti avevano dichiarato che le proprie forze in Iraq stavano andando più verso un ruolo di addestramento e di supporto all’esercito iracheno, piuttosto che di combattimento. Per cui l’annuncio di Biden arriva qualche mese dopo e prende atto di questa tendenza. Quindi sul campo cambierà poco».

Questa scelta USA che ripercussioni avrà per il premier iracheno Kadhimi?
«Per Kadhimi l’annuncio USA può rappresentare una vittoria politica in quanto la presenza americana sul campo disturba diverse forze irachene, in particolare quelle sostenute dall’Iran. Non vi sarà un ritiro completo USA, ma si elimina dal campo di battaglia la presenza visibile delle forze armate americane, dando quindi un supporto alla politica del premier iracheno Kadhimi e togliendo un argomento di recriminazione alle milizie sciite sostenute dall’Iran che negli ultimi mesi hanno attaccato più volte con missili, droni e mortai le basi USA o quelle irachene dove sono presenti anche dei soldati americani. In questo mese di luglio questo tipo di attacchi ha avuto una media di uno al giorno. Quindi l’annuncio di Biden potrebbe servire a disinnescare queste problematiche. Saranno poi i fatti a confermarlo o smentirlo».

La decisione USA potrebbe venire interpretata come una vittoria dell’Iran?
«Non credo che questa decisione USA possa essere vista come una vittoria dell’Iran perché in realtà 2.500 militari americani rimarranno in Iraq pur con compiti diversi. E un altro migliaio scarso di soldati USA è presente in Siria, per cui la presenza militare americana in Medio Oriente non viene meno. In Iraq tutto il supporto aereo delle operazioni militari molto probabilmente sarà ancora gestito dagli americani, così come le attività di intelligence e sorveglianza. Inoltre nei documenti che sono circolati in questi giorni si parla anche di forze USA che resterebbero in Iraq per affrontare l’ISIS. Per cui credo che in Iraq rimarranno forze speciali attive in missioni di questo tipo. Questo quadro delinea dunque una situazione nella quale è difficile parlare di una vittoria iraniana. Dietro la decisione di Washington potrebbe invece esservi un tentativo di dare più peso politico a Kadhimi, visto che in autunno ci saranno le elezioni».

Il primo ministro Kadhimi è però uno sciita vicino a Teheran.
«Sì Kadhimi è uno sciita con contatti in Iran ma è uno dei migliori alleati che su tale fronte gli americani al momento possono trovare in Iraq. Kadhimi può sicuramente diventare un importante elemento di bilanciamento nella politica irachena riguardo all’Iran che continua a sostenere in modo aperto varie milizie schierate contro Kadhimi».

A livello di immagine Biden esce meglio dalla gestione della situazione in Iraq rispetto a quanto fatto in Afghanistan?
«Sì, per l’Iraq non mi aspetto situazioni analoghe a quelle viste in Afghanistan dopo l’annunciato ritiro delle truppe USA, con i talebani passati all’attacco in molte aree del Paese. Anzi forse in Iraq potrebbe esserci una diminuzione parziale di alcune tipologie di attacco proprio perché vengono tolti i soldati americani da alcune basi che nelle scorse settimane sono state prese di mira. Forse questo genere di attacchi potrebbe diminuire, ma ciò non significherà che il Paese avrà risolto le sue problematiche legate alla sicurezza».