La storica sentenza del Colorado non mette fuori gioco The Donald

Il giorno dopo la decisione della Corte Suprema del Colorado di dichiarare Donald Trump ineleggibile e di escluderlo, quindi, dalle primarie repubblicane dello Stato, i media americani discutono quasi esclusivamente dell’impatto politico a breve termine generato dal pronunciamento dei giudici di Denver.
Secondo il New York Times, tutto è stato subito «molto chiaro, sin da quando Trump è sceso da un palco, martedì sera, nello Iowa, dopo aver appreso della sentenza».
Gli altri candidati del Grand Old Party, sempre più indietro nei sondaggi e sostanzialmente senza alcuna speranza di fermare la corsa dell’ex presidente a una terza candidatura alla Casa Bianca, si sono immediatamente - e letteralmente - sdraiati in sua difesa. Mentre dal quartier generale della campagna elettorale del tycoon partiva l’ennesima mail di raccolta fondi, intitolata semplicemente: «Rimosso dal voto, combatti!».
Il timore degli avversari si è così concretizzato per l’ennesima volta: Donald Trump potrà nuovamente giocare la carta del complotto e riempire ancora di più il forziere delle donazioni, in vista dello scontro finale con Joe Biden. Ormai da molti mesi l’ex presidente degli Stati Uniti ha infatti «perfezionato il suo manuale del vittimismo» e raccolto una quantità enorme di fondi per la campagna elettorale da ogni incriminazione, Non solo: ha costretto, in qualche modo, deputati e senatori repubblicani a difenderlo. E nessuno o quasi, nel partito, ha saputo o voluto contrastare questa strategia.
Foraggio politico
«Per tutto il 2023 - ha scritto ancora il New York Times - Trump ha sfruttato come foraggio politico eventi che avrebbero affondato altri candidati, come ad esempio essere incriminato quattro volte con 91 diverse accuse di reato». Accuse che l’ex presidente continua a definire una «caccia alle streghe, volta a fermare la sua candidatura». Anche la sentenza della Corte Suprema del Colorado è finita nella stessa narrazione. Dimostrando come una parte almeno dell’elettorato conservatore americano sia ormai totalmente impermeabile a qualsiasi argomento che riguardi The Donald.
«La decisione dei giudici di Denver - dice al Corriere del Ticino Raffaella Baritono, ordinaria di Storia degli Stati Uniti all’Università di Bologna - è sicuramente importante, ma non risolutiva, e purtroppo serve soprattutto ad alimentare sia la radicalizzazione dello scontro politico sia la radicalizzazione della base repubblicana, cose su cui fa leva l’ex presidente. Non a caso, gli altri candidati repubblicani alle primarie sono subito intervenuti in sua difesa».
Tutto si riduce, quindi, ancora una volta, a uno schierarsi emotivo e quasi irrazionale pro o contro l’ex presidente, a prescindere dai fatti.
«Eppure - sottolinea la professoressa Baritono - la sentenza della Corte Suprema del Colorado è a suo modo storica, perché per la prima volta applica la sezione 3 del 14.esimo emendamento alla Costituzione, approvato alla fine della Guerra civile per impedire ai confederati di rientrare in politica». Ribaltando una precedente decisione di un Tribunale distrettuale, i giudici di Denver hanno stabilito che la norma riguarda pure il presidente, cosa che altri magistrati avevano sin qui escluso: per vizi procedurali o per questioni politiche, come in Michigan.
«In Colorado, la Corte Suprema dello Stato ha ritenuto Trump responsabile di un atto insurrezionale - dice ancora Raffaella Baritono - ma che cosa comporterà questa decisione è difficile dirlo. Intanto, perché la sentenza è sospesa fino al prossimo 4 gennaio in attesa di un eventuale ricorso; e poi, perché la Corte Suprema degli Stati Uniti, qualora decidesse di prendere in considerazione un eventuale appello, potrebbe ribaltare tutto».
Questo scenario è sicuramente auspicato da Trump e da molti repubblicani, ma «nessun automatismo può essere dato per scontato - dice ancora la storica dell’Università di Bologna - Lo dimostrano gli stessi giudici del Colorado i quali, pur essendo tutti democratici, hanno sentenziato a maggioranza, 4 favorevoli e 3 contrari. Ciò dimostra che essere nominati da una parte politica non pregiudica del tutto l’indipendenza dei magistrati statunitensi».
Elettorato instabile
Il problema, insiste Raffaella Baritono, «è semmai un altro: risolvere per via giudiziaria un dilemma politico. Anche per questo Trump sfrutterà la sentenza di Denver nella sua campagna elettorale».
Che poi questo lo aiuti o meno a vincere, è molto difficile dirlo. E sicuramente prematuro. «Nel contesto attuale, Joe Biden appare più debole rispetto a Trump, ma un conto sono le campagne delle primarie, un conto le elezioni di novembre in cui si vota per la Casa Bianca - sottolinea la professoressa Baritono - La battaglia delle primarie coinvolge soprattutto i militanti e le fasce radicalizzate dei due partiti, ma il contesto generale è diverso». Nel 2020, la vittoria di Biden ebbe proporzioni persino inattese: oltre 7,1 milioni di voti popolari divisero i due contendenti. Mai nessun presidente degli Stati Uniti era riuscito a raccogliere l’enorme consenso del candidato democratico: 81,283 milioni di voti.
«A pesare - conclude la storica bolognese - fu anche un giudizio molto negativo dell’elettorato sui quattro anni di presidenza repubblicana: oltre a spaventare i moderati, Trump non era stato coerente con il suo programma. Tra un anno, gli americani si esprimeranno invece sui quattro anni di Biden; non voteranno soltanto l’uomo chiamato a mettere fine a una presidenza che ha spaccato al Paese, ma si eprimeranno sulle politiche adottate e sui risultati ottenuti, che sono in chiaroscuro. Bisognerà pure vedere se Biden e il suo partito riusciranno a mobilitare di nuovo i giovani, le donne e le minoranze. E capire se la paura di Trump sarà più forte di ogni altra considerazione o se prevarrà, come spesso sta accadendo nelle società occidentali, un atteggiamento di nichilismo democratico, di rassegnazione».