L’analisi

La strana alleanza tra i talebani e gli Stati Uniti

Sono almeno quattro i gruppi che si contendono il controllo dell’Afghanistan - La nascita dell’ISKP e il ruolo ambiguo giocato sin qui dai miliziani della Haqqani Network - Il pericolo concreto di una guerra civile e la forza militare dei combattenti di Ahmad Massoud - Intervista a Claudio Bertolotti, già capo della sezione di contro-intelligence della missione ISAF NATO nel Paese mediorentale
©EPA/AKHTER GULFAM
Dario Campione
28.08.2021 06:00

Capire l’Afghanistan non è mai stato facile. Per nessuno. La storia insegna che le regioni montuose del Paese mediorientale sono il vicolo cieco nel quale si sono infilati, nei secoli, imperi coloniali (la Gran Bretagna), imperi ideologici (l’Unione Sovietica) e imperi finanziari (gli Stati Uniti).

Nessuno, in Occidente, ha mai davvero compreso la dimensione tribale della società afghana, così come le mutevoli alleanze tra i clan o i contrasti religiosi all’interno della galassia islamica.

L’Afghanistan è un guazzabuglio in continuo rimescolamento. E l’ultima crisi, che da giorni riempie le pagine dei giornali e gli schermi delle televisioni, ne è la conferma.

Il terribile attentato di due giorni fa all’aeroporto di Kabul ha fatto capire, ad esempio, come i talebani non siano in grado di controllare il Paese nel suo complesso; e ha riportato prepotentemente all’attenzione del mondo intero la ferocia dei miliziani dell’ISKP, l’esercito di Allah nato qualche anno fa tra il Khorasan e la provincia pakistana del Balochistan. Un pericoloso gruppo terroristico oggi forte soprattutto nelle regioni afghane del Kunar e Nangarhar (a Est) e di Jowzjan (a Nord).

Un passo indietro

Claudio Bertolotti, ricercatore associato dell’Istituto di Studi di Politica Internazionale (ISPI) e direttore della società italo-svizzera di analisi Start InSight, è stato in Afghanistan come capo della sezione di contro-intelligence della missione ISAF NATO. «Per comprendere quanto sta accadendo - dice Bertolotti al Corriere del Ticino - bisogna fare un passo indietro, al 2014, anno in cui il Daesh era nel suo momento di massima espansione in Siria e Iraq. All’epoca, alcuni gruppi terroristici fecero atto di sottomissione allo Stato islamico (ISIS) e al califfo Abû Bakr al-Baghdâdî. Tra questi gruppi c’erano anche alcuni talebani che, dopo la morte del mullah Mohammed Omar, non avevano riconosciuto la leadership del successore, il mullah Akhtar Mohammad Mansour».

Rafforzati dall’arrivo di miliziani pakistani e uzbeki, gli “scissionisti” talebani diedero vita all’esercito dell’ISIS del Khorasan, l’ISKP appunto, e si dichiarano mujhaeddin fedeli al califfo. «Il processo di frammentazione dei talebani iniziato allora - spiega Bertolotti - è andato avanti per anni e ha fatto sì che l’ISKP conquistasse terreno soprattutto a Nord-Est di Kabul. Metà degli attacchi suicidi condotti in Afghanistan tra il 2015 e il 2019 sono stati attribuiti a questi combattenti». Sin dall’inizio, l’ISKP ha scelto la strategia del terrorismo “a effetto”, degli attentati che hanno risonanza mediatica. E, soprattutto, si è contrapposto ferocemente ai talebani, che giudica “servi dell’Occidente”.

Intelligence a confronto

In realtà, dice ancora Bertolotti, anche se può sembrare assurdo (se non, addirittura, incredibile), una certa contiguità tra americani e talebani esiste. E non è soltanto frutto delle forsennate visioni estremistiche dell’ISKP.

«C’è un aspetto, relativo all’attentato all’aeroporto di Kabul nel quale sono morte oltre 170 persone, che fa riflettere: è l’elevato numero di dettagli dell’informativa diffusa dall’intelligence. Mai, in passato, era successo che un simile report fosse così preciso. Questo dimostra quanto consolidate siano le relazioni tra la CIA e i “servizi” talebani. Non è un caso che il mullah Abdul Ghani Baradar, il nuovo capo dei talebani, abbia incontrato pochi giorni fa a Kabul il capo della CIA. E non è un caso che i marines americani controllino il perimetro dell’aeroporto assieme ai miliziani pashtun, come dimostrano molte immagini pubblicate negli ultimi giorni».

Le voci insistenti sollevate da più parti di un “accordo” tra Stati Uniti e talebani per un passaggio di consegne il meno cruento possibile sono, quindi, molto più di un’ipotesi. E fanno capire almeno altre due cose. La prima, sottolinea Bertolotti, è «l’approccio pragmatico, dei talebani. Sottolineo pragmatico, e non moderato, per evitare fraintendimenti». La seconda è la distanza che tuttora divide la maggioranza dei talebani dalla cosiddetta Haqqani Network, «la componente interna degli studenti islamici legata ad al-Qaida, da cui ha ereditato moltissime tecniche di combattimento».

Lotta per il potere

Fondata da Maulawi Jalaluddin Haqqani e guidata oggi dal figlio, Sirajuddin, si pone anch’essa in conflitto con i miliziani dell’ISKP - molti dei quali sono stranieri, elemento non secondario tra gruppi caratterizzati da un forte sentimento nazionalistico - ma in modo non del tutto chiaro.

«Sirajuddin Haqqani è molto ambizioso e non è da escludere che stia tentando di indebolire la componente politico-amministrativa del mullah Baradar per acquisire sempre più potere nel Paese - dice Bertolotti - In questo senso, potrebbe addirittura collaborare, anche se non apertamente, con l’ISKP».

Allo stato attuale, è chiaro quindi che i talebani non sono in grado di governare in sicurezza tutte le province dell’Afghanistan.

Gli americani lo sanno e giocheranno, nei prossimi giorni, il loro jolly: il sostegno alla resistenza in atto nella Valle del Panjshir, dove sono insediati i combattenti di Ahmad Massoud e di Amrullah Saleh (quest’ultimo, vice di Ashraf Ghani, si è autoproclamato presidente dell’Afghanistan lo scorso 17 agosto).

«Dopo decenni di conflitto, per nessuno è utile fomentare una guerra civile - dice ancora Bertolotti - Gli Stati Uniti, minacciando l’aiuto politico-militare ai combattenti della Valle del Panjshir, potrebbero così aprirsi la strada della trattativa per una transizione del potere che sia inclusiva». Una trattativa nella quale potrebbero essere coinvolti, potenzialmente, tutti gli altri “nemici” dell’ISKP: dai russi - che devono salvaguardare gli interessi del Tagikistan e dell’Uzbekistan, ex Repubbliche sovietiche vicine a Massoud - alla Cina, preoccupata dall’insorgere di possibili legami degli uiguri con i terroristi islamici.

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