Rubrica

«La Terra complessa»: come leggere il conflitto in Medio Oriente

Israele, Gaza, Cisgiordania: sui media i nomi si rincorrono, ma qual è la storia della regione? In collaborazione con l'esperto Benoît Challand, professore alla New School di New York, il Corriere del Ticino lancia una rubrica e un podcast con i quali approfondire il tema – Puntata 1: Dall'antisemitismo europeo ai mandati mediorientali
Giacomo Butti
20.11.2023 17:00

Medio Oriente. Dal 7 ottobre, dai sanguinosi attacchi di Hamas ai kibbutz israeliani, il tema è ospite di tutti i media. Israele, Gaza, Cisgiordania. Netanyahu, IDF, Hamas, Fatah e Abu Mazen. E poi Libano, Hezbollah, gli ayatollah iraniani. Nomi di luoghi, gruppi, personaggi, si rincorrono. Ma tutti, nessuno escluso, esistevano ben prima del 7 ottobre: abitavano una regione al centro, da decenni, di tensioni e scontri. Qual è la storia di Israele e della Palestina? Come si è arrivati a questa fatidica data? 

Per rispondere a simili domande in modo accurato, il Corriere del Ticino lancia la rubrica e l'omonimo podcast La Terra complessa. Con l'aiuto dell'esperto di Medio Oriente Benoît Challand, faremo un salto nel passato, ricostruendo in modo fattuale quanto avvenuto nel Levante dalla fine del XIX secolo a oggi.

Articoli e contenuti audio, pubblicati a cadenza settimanale, sono disponibili a questo link. Buona lettura e buon ascolto!

Benoît Challand è professore di sociologia alla New School di New York. Già titolare della cattedra di Storia contemporanea all'Università di Friburgo, Challand ha insegnato anche alla New York University, alla Scuola Normale Superiore di Firenze e all'Università di Betlemme. Vanta numerose pubblicazioni sulla storia e società civile del Medio Oriente, alcune delle quali edite dalla Cambridge University Press.

Puntata 1 - Dall'antisemitismo europeo ai mandati mediorientali

Partiamo dall'inizio, dal XIX secolo. Da quando Israele, ancora, non era nemmeno un'idea. Allora, a controllare quel territorio, era l'Impero Ottomano. In Europa, intanto, gli ebrei erano costantemente vittime di ondate di antisemitismo. 
«L'opera Bréviaire de la haine (Breviario dell'odio, ndr) dello storico Léon Poliakov spiega perfettamente come l'antisemitismo in Europa abbia due origini: una religiosa e una secolare. La prima nasce dalla separazione fra religione ebraica e cristiana, con l'idea che per distinguersi fosse necessario lottare contro le idee dell'altro gruppo. Per questo l'antisemitismo religioso si è diffuso sia nella Chiesa latina sia in quella orientale ortodossa. L'antisemitismo secolare, invece, è l'opposizione alla presenza di comunità ebraiche in Europa. Ciò si è manifestato con divieti di soggiorno, libertà limitata di commercio e vere e proprie forme di violenza contro le comunità. Forme di antisemitismo sopravvivono ancora oggi non solo in Europa, ma in tutto il mondo. Va tuttavia sottolineato, come vedremo anche in seguito, che l'antisemitismo è soprattutto un problema europeo».

Ed è proprio nel nostro continente che tale antisemitismo, pensiamo in particolare all'Affaire Dreyfus, portò all'idea di uno Stato ebraico e al progetto sionista.
«L'Affaire Dreyfus è stato per l'Europa occidentale uno dei casi più noti di discriminazione nei confronti di ebrei. Ma in Europa centrale e orientale, l'antisemitismo si era manifestato sotto forma di gravi violenze, dette pogrom, contro le comunità ebraiche. Tutto ciò, a fine XIX secolo, aveva convinto gli intellettuali ebrei, fra i quali Theodor Herzl, della necessità di creare un rifugio, uno Stato per gli ebrei. Questo pensiero è stato ovviamente influenzato dai progetti nazionalisti diffusi all'epoca in Europa. È così che è nato, allora, un progetto europeo di sionismo».

E gli ebrei che non si trovavano in Europa? Come vivevano all'epoca?
«Quando si parla di comunità ebraiche, si fa distinzione fra gli ebrei ashkenaziti "della Germania" e sefarditi "della Spagna". Germania e Spagna sono però metafore, rappresentano rispettivamente gli ebrei dell'Europa centrale e dell'Est e quelli che, dopo la Riconquista, hanno lasciato la Penisola iberica per trasferirsi in tutto il Mediterraneo e nei territori dell'Impero ottomano. Le comunità create in queste regioni erano prospere e non subivano forme di discriminazione sistematica e violenta come quelle riscontrate all'epoca in Europa. Tanto che un famoso studio di Gilbert Achcar mostra come l'antisemitismo si sia diffuso nel mondo arabo e nei territori dell'Impero Ottomano, un po' come il nazionalismo d'ultradestra, soltanto nel 1900. L'Islam era e rimane in gran parte tollerante verso Ahl al-Kitab, la "gente del Libro", cioè cristiani ed ebrei. Sì, esisteva una tassa di protezione (detta dhimmi), ma per il resto l'Impero ottomano si dimostrava aperto. Addirittura, nel 1908, l'Impero pensò a una cittadinanza uguale per tutti, cancellando le discriminazioni restanti nei confronti di ebrei e cristiani. Il pensiero europeo presuppone che a uno Stato corrisponda una nazione. Ma nell'Impero ottomano e nella teoria politica araba esistevano tanti modelli più aperti di multiculturalismo, di coesistenza e riconoscimento di altre culture e religioni. Questa idea fu pienamente sostenuta da tanti ebrei sefarditi che, paradossalmente, si opposero al progetto sionista, visto dagli ebrei orientali come una strumentalizzazione, un modo per l'imperialismo europeo di estendersi sui territori del Medio Oriente, smembrando l'Impero ottomano dopo la sua caduta».

L'antisemitismo europeo ha quindi infettato la regione?
«Nel mondo arabo si è assistito a una forma di encroachment  invasione graduale con diffusione di idee e strutture legali ed economiche legate all'Europa – che a poco a poco ha sgretolato la realtà sociale locale. È importante rendersi conto che le relazioni tra l'Europa e l'Islam si sviluppano attorno al problema della presenza coloniale, la quale ha creato tante distorsioni».

Torniamo al progetto sionista. Le prime grandi migrazioni di ebrei verso il Levante sono avvenute fra fine '800 e inizio '900, con la Prima Aliyah. Che effetto hanno avuto sui palestinesi?
«Il progetto di Herzl e del sionismo europeo era quello di creare uno Stato ebreo, ma non era scontato che, come luogo, fosse scelta Gerusalemme, in parte proprio perché gli ebrei orientali erano contrari. Vari progetti proponevano come meta l'Uganda o il Madagascar. Alla fine la scelta è caduta sulla "Terra promessa", la Palestina storica. E ciò ha dato via alle prime ondate di migrazione degli ebrei europei. Il termine utilizzato per descriverle, appunto, è aliyah, "salita", oppure aliyot, "ondate di salita": si intende verso il monte di Sion, la collina di Gerusalemme. Molti affermano che è solo qui, dopo la Prima Aliyah di fine '800, che ha cominciato a svilupparsi una coscienza nazionale palestinese. Ma non è proprio così: un primo nucleo di identità nazionale si è sviluppato nel periodo della campagna di Napoleone in Egitto (1798) e decenni dopo nel 1820-30 sotto l'occupazione delle truppe egiziane di Muhammad Ali. Allora, testi e poesie di intellettuali palestinesi sottolineavano la necessità di unirsi contro gli invasori. La produzione letteraria mostra che esisteva già, prima delle immigrazioni di ebrei, il desiderio di creare una comunità palestinese. Non si tratta solamente di una reazione al sionismo. E ciò si può notare anche a livello economico, dove si può notare come la rete di scambi commerciali ricalchi territori che assomigliano parecchio alla cosiddetta Palestina storica».

Per l'Impero ottomano, mantenere questo territorio enorme rappresentava una grande difficoltà economica e politica. Le potenze europee hanno dunque cercato di trarre vantaggi strategici da questa debolezza

L'Impero ottomano stava affrontando una serie di difficoltà ben prima della sua caduta, insomma.
«Per l'Impero, mantenere questo territorio enorme rappresentava una grande difficoltà economica e politica. Le potenze europee hanno dunque cercato di trarre vantaggi strategici da questa debolezza. Ad esempio con la costruzione del Canale di Suez, la creazione della ferrovia Berlino-Baghdad, le ricerche del petrolio. Ma esiste anche una sete culturale (è in questi anni che nasce l'Orientalismo) e religiosa. Tanti ordini missionari vogliono creare delle scuole nel Medio Oriente. E questo è un altro paradosso: in parte, il sionismo è stato nutrito da un desiderio e immaginario di Terra Santa, vuota e desiderata, proprio della comunità cristiana. Il sionismo non è insomma soltanto un progetto politico voluto da ebrei, ma anche c'è una forma di sionismo culturale da parte di tanti ordini religiosi. E ciò alimenta poi l'idea che l'Europa, nella sua missione civilizzatrice, possa aiutare gli ebrei a ritornare: è questa la base del sostegno cristiano ed europeo per la creazione di un "focolare nazionale" israeliano in Palestina».

Arriviamo, quindi, alla Guerra Mondiale: 1914-1918. Che cosa succede in questo periodo?
«In questi anni di guerra il sionismo politico si è organizzato attorno a Theodor Herzl e ad altre personalità. È allora che, in Inghilterra, la comunità ebraica riesce a ottenere la famosa dichiarazione Balfour (novembre 1917), con la quale il governo britannico ha promesso sostegno britannico alla creazione – e qui il termine è importante – non di uno Stato ebraico, ma di un "focolare nazionale ebraico" in Palestina. Perché? Per il principio del divide ut imperes. L'obiettivo era usare le comunità ebraiche per creare divisioni fra gli avversari. In Germania, che era alleata dell'Impero ottomano, ma anche nella Russia in piena rivoluzione bolscevica. Intanto, però, il trattato segreto Sykes-Picot aveva già stabilito il piano di smembramento dell'Impero ottomano con zone di influenza britannica e francese. È qui che Gaza entra nel discorso. I britannici controllavano già il canale di Suez e tutto l'Egitto. Nel 1917 mandano le proprie truppe attraverso il Sinai e arrivano a Gaza. Qui – qualcuno ricorderà il personaggio di Lawrence d'Arabia – i britannici alimentano la ribellione araba contro l'Impero ottomano, anche grazie a una promessa contenuta nel trattato Sykes-Picot: il sostegno alla creazione di un grande regno arabo unito in tutto il Levante. Gaza, allora una città portuale ricca e importante, viene presa dai britannici nel novembre 1917. E poche settimane dopo anche Gerusalemme cade nelle mani inglesi. Così, con il nuovo ordine internazionale e la Società delle Nazioni, si crea un sistema di mandati europei sui territori mediorientali. Ma il tutto si intreccia sulle basi del nazionalismo ottocentesco, della competizione coloniale e delle mire europee sull'Impero ottomano».

Le intrusioni europee sono evidenti e saranno alla base, lo vedremo nelle prossime puntate, di un nazionalismo distintamente religioso palestinese di cui Hamas è il frutto

I francesi, intanto, puntavano al Libano.
«La Francia aveva una presenza storica nel Levante, in Libano, sin dagli accordi tra François I e Solimano il Magnifico, con le capitolazioni del Cinquecento. Da allora, le potenze europee avevano guadagnato il diritto di praticare commercio nell'Impero senza pagare tasse. Questo piccolo vantaggio si è a poco a poco amplificato, fino a diventare un insediamento graduale: i francesi in particolare avevano una presenza forte grazie anche alle comunità missionarie. Come i britannici, anche i francesi, durante la Prima guerra mondiale, strumentalizzano il nazionalismo arabo per mettere un piede nel Medio Oriente. E dopo aver occupato il Libano, provano a inviare truppe verso la Palestina storica, zona contesa fra britannici e francesi. È da questa corsa all'occupazione che sono nati i confini fra territori ora israeliani e quelli libanesi. Piccola nota: i britannici riconoscono di aver occupato militarmente parte dell'Impero ottomano e seguono alcune regole. Si tratta delle regole del diritto umanitario internazionale sui territori occupati, di cui parleremo nelle prossime puntate. Questa corsa all'occupazione, dicevamo, porta alla creazione di una zona di influenza britannica al sud del Vicino Oriente, ossia in Palestina, Transgiordania e Iraq, mentre al nord una zona di influenza francese su Libano e Siria. Ciò porta qualche anno dopo alla consegna formale, da parte della Società delle Nazioni, dei mandati sui territori mediorientali ai britannici e ai francesi».

E a questo punto arriviamo a un argomento già toccato in precedenza: l'impatto dei colonizzatori sulla tradizione locale. Come hanno influenzato i britannici la popolazione palestinese?
«Nella vastità del mandato in Palestina, i britannici utilizzano alcuni aspetti della religione per creare una forma di governo che doveva essere rispettosa dei diritti palestinesi (la Dichiarazione Balfour dice sì al focolare ebraico, ma con rispetto per l'esistenza delle comunità locale). I britannici in realtà sono pienamente schierati con l'Yishuv, la comunità ebraica in Palestina che sarà il nucleo sul quale si costruirà lo Stato di Israele. Addirittura il primo Alto Commissionario del Mandato britannico in Palestina è un ebreo inglese, con una grande simpatia per il progetto sionista. L'Yishuv dunque viene riconosciuto. E per dare una parvenza di simmetria, i britannici creano per i palestinesi una comunità con un leader religioso, istituendo un titolo apposito, quello di Grande Mufti di Gerusalemme. Storicamente non esisteva una simile figura, perché gli arabi si affidavano su altre strutture poliarchiche, diffuse. I britannici invece inventano una tradizione di autorità centralizzata, scegliendo il rappresentante di una famiglia aristocratica. Una intrusione coloniale che, sempre nell'ottica divide ut imperes, creerà divisioni fra i palestinesi e rappresenterà una strumentalizzazione della religione non voluta dalla popolazione palestinese musulmana, ma dai britannici stessi. Quando definiamo il Medio Oriente una forzatura, un'invenzione, un'imposizione europea è inteso in questi ambiti, dove le forme intrusione europee sono evidenti e saranno alla base, lo vedremo nelle prossime puntate, di un nazionalismo distintamente religioso palestinese di cui Hamas è il frutto».

La pubblicazione più recente: Violence and Representation in the Arab Uprisings, Benoît Challand, Cambridge University Press, 2023