Il commento

La triste terza età del celebrato sogno americano

Come se non bastassero due guerre in corso e il nuovo fronte di tensioni nel Mar Rosso, a creare nuovi grattacapi ci si mette ora anche Donald Trump
©MICHAEL REYNOLDS
Mauro Spignesi
21.01.2024 06:00

Come se non bastassero due guerre in corso e il nuovo fronte di tensioni nel Mar Rosso, a creare nuovi grattacapi ci si mette ora anche Donald Trump. Mentre il suo avversario, il presidente Joe Biden, è alle prese con un riottoso Benjamin Netanyahu, che non ha alcuna intenzione di mettersi attorno a un tavolo e discutere una tregua con Hamas, lui, «l’imprenditore prestato alla politica», a due giorni dal voto nel New Hampshire, ha lanciato una serie di «avvertimenti» alla Corte Suprema: «Se mi escludete - hanno riportato quasi tutti i giornali - sarà il caos». Un discorso definito «incendiario» da molti osservatori ma che rientra perfettamente nella strategia di Trump: attaccare prima di essere attaccati e mai mettersi mai in fase d’attesa e di difesa. È quello che ha sempre fatto. Sin qui, dunque, non c’è da stupirsi.

Semmai c’è da stupirsi di un altro fatto. E cioè del fatto che l’America, il Paese del «grande sogno» che ha accolto milioni di immigrati offrendogli la possibilità, generazione dopo generazione, di accedere alla scala sociale e creare una classe dirigente capace di dettare l’agenda internazionale per decenni, si sia ridotta alla corsa Biden-Trump. È una domanda che molti analisti si fanno osservando le mosse di un contestato (e temuto da molti) imprenditore carico di guai giudiziari e un anziano presidente uscente.

Come mai l’America non riesce più a selezionare e proporre una classe dirigente con idee nuove, come è accaduto con i Kennedy, con Barack Obama, e prima ancora con Bill Clinton o - sul fronte repubblicano - i Bush? Gente che arrivava alla Casa Bianca dopo una «gavetta» politica, che conosceva i tempi e i modi, i ragionamenti e le regole di uno Stato democratico.

Si dice che Trump resta a galla perché sa parlare alla «pancia» del Paese e perché è capace di sfruttare abilmente i suoi guai giudiziari. Fatto sta che è ormai sicuro della nomination repubblicana, soprattutto dopo l’exploit con un distacco di 30 punti sull’avversario Ron De Santis (e molti di più sull’emergente Nikki Haley) e la vittoria in 98 delle 99 contee dell’Iowa. Se la tendenza è questa si vedrà nelle prossime settimane, con le tappe in Sud Carolina, Michigan, Colombia, Nord Dakota sino al 5 marzo, giorno del Super Tuesday (16 Stati al voto). Ma l’impressione è che Trump sfiderà Biden a meno che non venga dichiarato ineleggibile o in qualche modo responsabile dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

Intanto al World economic forum di Davos, il fantasma di Trump è apparso praticamente ovunque, e anche la numero uno della Banca centrale europea Christine Lagarde ha spiegato a microfoni spenti che l’Europa deve prepararsi ai contraccolpi di una eventuale elezione di Trump in America.

Ma se Trump - 77 anni - è in corsa perché sa parlare alla «pancia» degli americani sgranando un programma di annunci spiazzanti (come l’uscita degli Usa dalla Nato) Biden, dall’alto dei suoi 81 anni, è in corsa perché - è stato detto - è l’unico che riesce a tenere unito un partito democratico diviso non solo sul territorio dove i suoi governatori portano avanti politiche diversissime, ma anche tra centristi ed estrema sinistra.

Povera America, ha scritto un celebre notista politico, rappresentata da un «imprenditore prepotente» e un anziano che costringe il suo staff a farsi il segno della croce ogni volta che, incerto e ondeggiante, scende dalla scaletta dell’aereo presidenziale.