«L'adesione agli Accordi di Abramo è una nostra presa di posizione politica»

La visita alla Casa Bianca dei presidenti dei cinque Paesi dell’Asia Centrale – il 6 novembre scorso – è stato il palcoscenico ideale per Donald Trump per annunciare che il leader kazako Qasym-Jomart Kemelūly Toqaev era pronto a rafforzare le relazioni con Israele e a firmare gli Accordi di Abramo. Il Kazakistan diventa così ufficialmente il primo Paese a firmare questo accordo con Tel Aviv nella seconda presidenza Trump, che aveva già ottenuto risultati importanti nel 2020 con Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan.
La normalizzazione dei rapporti con Israele aveva iniziato a ridisegnare la geopolitica del Medio Oriente e sembrava che anche l’Arabia Saudita fosse sul punto di fare il passo decisivo per il riconoscimento reciproco con Israele. L’attacco di Hamas del 7 ottobre aveva bloccato questo percorso, che non era però stato annullato, ma semplicemente sospeso. La firma dei sauditi avrebbe un peso enorme per il mondo musulmano perché la Casa reale al Saud custodisce i luoghi più sacri dell’Islam ed è una potenza regionale con un peso economico determinante.
Il Kazakistan, dal canto suo, è un Paese immenso, strategico, sconosciuto al grande pubblico ma non alle grandi potenze che puntano alle sue ricchezze. Anche Israele intrattiene relazioni diplomatiche con questo sconfinato Paese asiatico da oltre trent’anni. Il gigante asiatico diventa così il quinto membro degli Accordi di Abramo ed è la prima nazione che già aveva rapporti con Tel Aviv a firmare. Ma il Kazakistan fa gola a molti ed è ancora membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), l’alleanza militare guidata dalla Russia, e della Unione economica eurasiatica, sempre sotto l’egida di Mosca. Pechino ha aumentato gli investimenti nella nazione ex sovietica soprattutto nel settore infrastrutturale come ferrovie, oleodotti, smart cities. Anche Ankara si sta impegnando in Asia centrale e a luglio scorso ha firmato 20 accordi congiunti e sta sviluppando una rotta commerciale che attraversa l’Asia e l’Europa, passando per il Mar Caspio e la Turchia, chiamata Middle Corridor. Yermek Kosherbayev guida da settembre il ministero degli Esteri dello sconfinato Paese asiatico e racconta al Corriere del Ticino come si sta muovendo il Kazakistan sullo scenario internazionale.
Ministro, cosa cambia nei rapporti fra Israele e Kazakistan dopo l’adesione agli Accordi di Abramo?
«La firma di questo trattato ha un valore simbolico determinante, noi abbiamo un solido rapporto con lo stato di Israele da moltissimi anni ma oggi prendiamo una posizione politica. Quando mi sono insediato come ministro uno dei primi a chiamarmi per congratularsi è stato il ministro degli Affari Esteri di Israele Gideon Sa’ar, con cui ho convenuto di aumentare le relazioni economiche e diplomatiche iniziate nel 1992».
La posizione del vostro Paese sta crescendo negli equilibri mondiale, siete strategici.
«Tutti i Paesi del mondo vogliono avere rapporti con la nostra grande nazione. Il Kazakistan ha ancora un enorme potenziale inespresso, sia minerario che geopolitico. Abbiamo una serie di accordi e convenzioni con la Russia, firmati alla dissoluzione dell’Unione sovietica, ma anche la Cina da tempo investe ad Astana e l’India ha aperto un canale diretto con noi. Il presidente Qasym-Jomart Kemelūly Toqaev ha però deciso di allentare il rapporto con Mosca dopo l’invasione in Ucraina e di non riconoscere l’annessione unilaterale dei territori ucraini. Anche a livello militare abbiamo iniziato una serie di esercitazioni con la Turchia, ma adesso vogliamo ampliare il ventaglio di opzioni e crediamo che Washington sia il partner ideale».
Proprio il rapporto con gli Stati Uniti sembra la strada che il vostro governo ha deciso di percorrere.
«Gli Stati Uniti sono la nazione più importante del mondo e il Kazakistan vuole creare un rapporto che vada avanti per anni. Come ha detto il nostro presidente, Donald Trump è un grande leader e statista, inviato dal cielo per portare buon senso e per proteggere tradizioni e valori che tutti noi condividiamo. Siamo convinti che le politiche comuni debbano essere sostenute. Il presidente statunitense è un uomo della pace: lui ha messo fine a otto guerre in otto mesi e ha rafforzato il ruolo dell’America come pilastro della stabilità internazionale. Siamo fiduciosi che anche il Medio Oriente potrà vivere in pace e questo grazie al lavoro di Trump e di tutto il suo staff. Il Kazakistan ha il 70% di musulmani ma conviviamo da sempre con un’importante percentuale di cristiani ortodossi perché crediamo nell’integrazione».
La firma kazaka arriva al momento giusto, perché il 18 novembre arriverà a Washington il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Trump metterà sul tavolo anche la ripresa dei colloqui per gli Accordi di Abramo. Questo sembra davvero un momento cruciale a livello politico, dove si decide il futuro del mondo.
«L’incontro alla Casa Bianca è stato estremamente positivo. Questo summit, chiamato C5+1, fa capire l’interesse americano verso i paesi dell’Asia Centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, ndr). Si tratta di un interesse cruciale sia per la stabilità eurasiatica, sia per le rotte energetiche e commerciali tra Europa e Asia, come ha dimostrato la politica di Pechino con la nuova Via della Seta. Anche Tel Aviv ha manifestato interesse nell’investire ad Astana, il Kazakistan vanta il 43% delle riserve mondiali di uranio, 30 miliardi di barili di petrolio e 3 trilioni di metri cubi di gas naturale. Ci auguriamo che altre nazioni seguano il nostro esempio, che è la giusta strada verso la pace a cui tutti dovremmo lavorare, come fa Donald Trump che merita grandi riconoscimenti, e anche il Premio Nobel per la Pace».
Sembra di capire, dunque, che l’adesione del Kazakistan resta un gesto squisitamente politico che non amplia nel concreto, almeno per ora, le relazioni internazionali di Israele ma rafforza gli Accordi di Abramo che si erano bloccati il 7 ottobre. Ma che adesso Trump vuole far ripartire con forza.
