Medio Oriente

L’Arabia Saudita sospende i colloqui con Israele: e adesso?

Riad ha criticato aspramente l'atteggiamento israeliano nei confronti della popolazione di Gaza e, secondo una fonte vicina al governo saudita, ha messo in pausa il processo di normalizzazione con la controparte – Analisti ed esperti, ora, temono che il conflitto possa estendersi all'intera regione
© MOHAMMED SABER
Red. Online
14.10.2023 13:30

Poche ore fa, al Corriere del Ticino, l'ambasciatrice di Israele in Svizzera Ifat Reshef aveva spiegato quanto fossero importanti, nell'ottica della stabilizzazione della regione, i progressi diplomatici compiuti dallo Stato Ebraico negli ultimi due, tre anni. E, in particolare, l'auspicata normalizzazione dei rapporti con l'Arabia Saudita. È notizia di queste ore, per contro, la sospensione dei colloqui con Israele da parte di Riad. Lo ha dichiarato, sabato, una fonte vicina al governo saudita all'AFP.

Il regno, in particolare, «ha deciso di sospendere le discussioni su una possibile normalizzazione con Israele e ha informato i funzionari statunitensi di conseguenza» ha spiegato la fonte. Antony Blinken, il segretario di Stato americano, si trova attualmente proprio a Riad. L'Arabia Saudita, a oggi, non riconosce lo Stato di Israele e, dall'attacco terroristico di Hamas, ha rilasciato diverse dichiarazioni a sostegno dei palestinesi. Riad, ancora, ha respinto con forza gli ultimatum di Israele. Dichiarando, nello specifico, «il suo categorico rifiuto delle richieste di sfollamento forzato della popolazione palestinese di Gaza» e condannando parallelamente il «continuo bombardamento di civili inermi in quel territorio», come si può leggere in una nota del Ministero degli Esteri saudita. Venerdì, lo stesso Ministero degli Esteri ha pure invitato la comunità internazionale ad «agire rapidamente per fermare qualsiasi forma di escalation militare contro i civili, prevenire una catastrofe umanitaria e fornire gli aiuti necessari alla popolazione di Gaza». Di nuovo: «Privarli dei mezzi di base per una vita dignitosa è una violazione del diritto umanitario internazionale e aggraverà la crisi e la sofferenza nella regione».

Il prezzo del petrolio

Giovedì, la direttrice operativa del Fondo monetario internazionale (FMI), Kristalina Georgieva, ha dichiarato che le tensioni in Medio Oriente si aggiungono ai «gravi shock» che l'economia globale ha dovuto affrontare negli ultimi tre anni. Shock che stanno diventando, citiamo, «la nuova norma in un mondo già indebolito da una crescita debole e da un'economia frammentata», ha aggiunto. Allargando il campo, «il principale rischio economico è ora un rischio geopolitico», ha ammesso il ministro dell'Economia francese Bruno Le Maire durante un incontro con la stampa a Marrakech, sempre giovedì, suggerendo che le conseguenze potrebbero essere «gravi» per la crescita e i prezzi dell'energia a livello mondiale. A preoccupare, va da sé, è il possibile, se non probabile ingresso via terra di Israele nella Striscia di Gaza.

Dicevamo dei prezzi. All'indomani dell'attacco di Hamas, sabato scorso, il petrolio è balzato di cinque dollari, per poi calare leggermente nei giorni successivi, ma da giovedì è tornato a salire, raggiungendo sabato i 90 dollari al barile per il Brent – superando quindi la soglia dei 90 dollari per la prima volta in dieci giorni – e gli 87 dollari per il WTI. Questi due indici, a maggio, si trovavano al di sotto dei 70 dollari.

La produzione di Teheran

Il timore, evidentemente, è che il conflitto si estenda alla totalità del Golfo Persico, che rappresenta all'incirca il 40% dell'approvvigionamento petrolifero mondiale. Detto di questi ultimi contrasti fra Israele e Arabia Saudita, con Riad che potrebbe emettere sanzioni contro Israele e i suoi alleati, usando proprio il petrolio come arma, gli Stati Uniti sono in aperto contrasto con l'Iran. Secondo quanto scritto dal Wal Street Journal, gli americani sospettano che Teheran abbia dato il via libera all'attacco di Hamas lo scorso 2 ottobre, in occasione di una riunione a Beirut, in Libano, «casa» di Hezbollah

Proprio Hezbollah, tramite lo sceicco Naim Qassem, il numero due del gruppo filo-iraniano, ha garantito il proprio sostegno ad Hamas. «Siamo pienamente preparati e agiremo quando sarà il momento», ha avvertito. Che cosa significhi, nel concreto, è difficile a dirsi. È certo, per contro, che se venisse appurato il coinvolgimento di Teheran nell'attacco di sabato scorso ci saranno ritorsioni importanti verso l'Iran. Con tutte le conseguenze del caso per il mercato del gas e del petrolio. Il Paese sciita, infatti, è un peso massimo del mercato petrolifero, forte del 12% delle riserve mondiali di oro nero. Teheran, dallo scorso gennaio, ha aggiunto circa 600 mila barili al giorno a livello di produzione, portandola a 3,8 milioni quotidiani secondo i dati dell'Agenzia internazionale dell'energia (AIE). Rappresentando poco più del 4% della produzione mondiale, sarebbe difficile a detta degli analisti fare a meno di questi volumi, in caso la situazione geopolitica deteriorasse, senza far schizzare verso l'alto i prezzi del petrolio.

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