Il caso

L'Artico non ha problemi solo con il cambiamento climatico

Questa remota area, considerata a lungo un luogo «di tutti e di nessuno», è teatro di diverse tensioni militari, complice soprattutto la guerra in Ucraina
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Federica Serrao
09.09.2023 09:31

Quando parliamo dell'Artico, oggi, pensiamo subito al cambiamento climatico. Ai pericoli ambientali a cui questa remota regione del nostro pianeta è sempre più esposta. Nella nostra testa scorrono le immagini di imponenti masse di ghiaccio che si sciolgono, minacciando tutto il resto del mondo. Ma oltre alle insidie del riscaldamento globale, l'Artide sta affrontando questioni altrettanto spinose. Questo vasto territorio è rimasto a lungo neutrale, guadagnandosi la fama di essere un posto «di tutti e di nessuno». Ora, però, l'equilibrio nato dall'era post Guerra Fredda, caratterizzata dalla smilitarizzazione e dalla cooperazione scientifica tra i Paesi del Consiglio artico, sta vacillando. Complice, certamente, il cambiamento climatico. Ma anche la guerra in Ucraina. Per il coinvolgimento della Russia, come Nazione che si affaccia, guarda caso, proprio sull'Artico. 

I fondali marini inesplorati

Ricapitolando, i problemi che questa remota regione deve affrontare sono diversi. Da un lato, come detto, ci sono le minacce ambientali. Da cui, potremmo dire, ha origine il resto. Lo scioglimento dei ghiacci marini sta infatti portando alla creazione di nuove rotte commerciali: ciò significa che si stanno moltiplicando le possibilità di esplorazioni delle risorse presenti sui fondali marini. Aree ancora inesplorate dell'Artide, che fanno gola a diversi Stati. Dopotutto, si tratta di un tesoro il cui valore potrebbe essere inestimabile. Nessuno, infatti, sa con certezza che cosa si nasconda sui fondali dell'Artico. Forse importanti riserve di combustibili fossili, metalli e minerali. Di più, secondo uno studio condotto dal Servizio geologico statunitense nel 2008, all'interno del Circolo Polare Artico potrebbe trovarsi l'equivalente di circa 90 miliardi di barili di petrolio, oltre che importantissimi giacimenti di gas naturale.

Al momento, scrive Bloomberg, nella parte inferiore di questa vasta regione, già da un decennio, la Russia estrae petrolio offshore. E non è intenzionata a smettere, anzi. Tra gli obiettivi, Mosca intende aumentare la produzione fino al 2035, costi quel che costi. Le sanzioni occidentali derivate dalla guerra in Ucraina, infatti, hanno compromesso parte dei piani della Federazione Russa. Ma non le sue ambizioni. 

Ma c'è di più. A quanto pare, la Russia — insieme al Canada e alla Danimarca — starebbe chiedendo diritti economi più ampi su un'enorme porzione di fondale marino. Nello specifico, tutte e tre le nazioni sostengono che la Cresta di Lomonosov, una dorsale marina che attraversa proprio il Polo Nord, sia un'estensione della loro piattaforma continentale. Qualora dovesse essere riconosciuta la paternità di quest'area a uno dei Paesi che ne richiamano l'appartenenza, però, la faccenda non riguarderebbe solo un ampliamento dei propri confini. Secondo quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, il Paese in questione avrebbe quindi l'opportunità di rivendicare anche tutti i diritti sovrani esclusivi su qualsiasi risorsa naturale presente sul fondo marino (o addirittura al di sotto), entro il limite abituale di 200 miglia nautiche delle zone economiche esclusive. 

Al momento, gli occhi dei Paesi sopra citati sembrano essere puntati soprattutto su un lembo di mare ghiacciato, pressappoco delle dimensioni del Cile. La Russia, grazie a una serie di motivazioni geologiche, sembrerebbe essere la favorita. Ma, a conti fatti, potrebbero essere necessari decenni per comprendere a chi, effettivamente, spettino quel territorio e tutte le sorprese che si nascondono sui fondali. 

Il Consiglio Artico

Tuttavia, questa è solo la punta dell'iceberg. Le minacce che incombono sull'Artico, come anticipato, comprendono anche le tensioni militari che stanno ostacolando la consueta cooperazione del Consiglio Artico. Partiamo, però, dal principio. Creato nel 1996, il Consiglio Artico – come suggerisce il nome – comprende tutte le nazioni che si affacciano sull'Artide. Dunque Canada, Stati Uniti, Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca (per quanto concerne la Groenlandia) e Russia. Al suo interno, si trovano anche sei gruppi di indigeni, oltre a 13 stati «non artici» che nel corso degli anni si sono aggiunti come osservatori. Tra questi, dal maggio 2017, è presente anche la Svizzera, in qualità di «membro osservatore permanente». 

Con lo scoppio del conflitto in Ucraina, però, è crollato l'equilibrio. Dopo l'invasione, lo scorso anno, la Finlandia ha scelto di aderire alla NATO, col timore che Putin potesse diventare una minaccia anche per il loro Paese. Allo stesso modo, la Svezia ha seguito l'esempio della «vicina di casa», presentato la domanda di adesione. Domanda che, se dovesse venire approvata, come previsto, farebbe diventare la Russia l'unica potenza artica a non far parte dell'Alleanza. 

Non solo. Con l'inizio della guerra in Ucraina, le riunioni del Consiglio Artico sono state sospese. Lasciando in stand-by, va da sé, tutte le faccende relative al territorio. Sebbene il Consiglio non abbia poteri esecutivi e non discuta di questioni militari, ha l'obiettivo di collaborare su questioni relative all'Artico globale condiviso. In altre parole, tramite dei gruppi di lavoro si discute di sfide comuni, come i diritti degli indigeni e lo sviluppo economico sostenibile. E non è tutto. Il Consiglio, in passato, è stato responsabile della negoziazione di accordi giuridicamente vincolanti per cooperare in caso di emergenza, per esempio in caso di gravi fuoriuscite di petrolio o di operazioni di ricerca e salvataggio. 

Il problema di Mosca

Tuttavia, da quando la Norvegia, recente, ha assunto la presidenza a rotazione dalla Russia, sono ripresi i lavori su circa la metà dei progetti scientifici che erano stati sospesi con lo scoppio del conflitto. Le ricerche con gli scienziati russi, invece, restano bloccate. E con il protrarsi della guerra in Ucraina la situazione potrebbe solamente peggiorare. Sebbene non esista un meccanismo legale per costringere la Russia a uscire dal Consiglio, «cacciarla» non sarebbe neppure la soluzione migliore. Qualora Mosca dovesse abbandonare, infatti, in un primo momento sarebbe più semplice riprendere la cooperazione di un tempo. Ma, a lungo andare, le conseguenze sarebbero evidenti. Senza la Russia, vale a dire la più grande nazione artica del mondo, il Consiglio Artico diventerebbe infatti un organismo molto più ridimensionato. E minacciando, va da sé, l'equilibrio già precario di quest'area di mondo.