«L’attacco USA al generale iraniano Soleimani va letto come un’azione filo-israeliana»

Cosa si nasconde dietro l’azione militare americana contro il generale iraniano Soleimani che ha portato ai massimi livelli la tensione tra Teheran e Washington? Lo abbiamo chiesto al giornalista Fabrizio Cassinelli, autore di un libro sulla Repubblica islamica.
Gli iraniani sono vessati da anni da un regime opprimente. Il presidente moderato Rohani ha però mostrato aperture rispetto al passato. Com’è recepita nella società la modernità occidentale?
«La società iraniana è molto complessa, con esempi di grande modernità ed efficienza, come il sistema scolastico o la ricerca sulle nanotecnologie, e momenti di arretratezza, dovuti prevalentemente alla stessa matrice islamica della Repubblica e alla sua imposizione. In Iran si può manifestare contro un ministro o contro il Governo, ma quando la protesta sposta il tiro sulla guida suprema o sui dettami religiosi la risposta è durissima. Non si pensi però che il popolo, 80 milioni di persone, subisca un regime dittatoriale. Il sistema iraniano gode del sostegno delle masse popolari».

Una manciata di settimane prima dell’attacco statunitense che ha ucciso il generale iraniano Soleimani, il regime aveva represso la rivolta popolare scatenata dall’aumento del prezzo della benzina. Lo scorso fine settimana milioni di persone sono però scese in piazza a Teheran per rendere omaggio al condottiero dei pasdaran eliminato dagli americani con un drone. Come si spiega questa compattezza?
«Non deve stupire che così tante persone abbiano partecipato alle esequie, perché l’uccisione di un uomo come Soleimani ha avuto l’effetto di compattare tutta la società iraniana intorno al suo establishment. Il generale dei pasdaran era molto amato non solo per aver sconfitto l’ISIS, ma anche per il fatto che conduceva una vita modesta, lontana dai lussi di tanti personaggi importanti del regime. Con la sua mossa il presidente americano Donald Trump è riuscito, in un solo colpo, a seppellire il nascente movimento di protesta e a infliggere un colpo durissimo all’ala moderata del regime iraniano, riconsegnando il comando del Paese ai falchi e ai pasdaran».
La contesa USA-Iran dura da anni. Le sanzioni USA hanno poi sfiancato l’economia iraniana. Come viene vissuta questa situazione tra i giovani?
«La contesa USA-Iran va a mio parere contestualizzata allargando l’orizzonte geopolitico. L’Iran cerca un posto al sole in Medio Oriente, gli USA sono dall’altra parte del mondo per imporre i propri interessi. Mi sembra una differenza rilevante. Quando, nel 1957, in Iran si era instaurato un Governo laico e democratico, un colpo di stato favorito da USA e Regno Unito ha riportato la monarchia. Noi occidentali non ne usciamo molto bene. La crisi economica, causata dalle sanzioni americane, ha spezzato i sogni di almeno tre generazioni di giovani, forse quanto il rigido modello sociale da cui pretendono più libertà».
La guerra tra i due Paesi è stata sfiorata almeno due volte nel 2019. Quali scenari si aprono ora?
«Io credo che gli USA non vogliano la guerra. Non hanno più motivo di farla da quando, come racconto nel mio libro, non sono più grandi importatori di petrolio ma grandi produttori. La loro azione bellica va letta in chiave filo-israeliana, Paese che ha un’influenza ampia e diretta sul Senato e sull’opinione pubblica statunitense».
Gli USA insistono sulla fine degli esperimenti con l’uranio arricchito, ma l’Iran intende proseguire sulla propria strada.
«L’Iran vuole il nucleare ma era disposto a rinunciarvi, come ha dimostrato l’accordo che era stato raggiunto con Obama ma che poi è stato rotto da Trump. Come è possibile in tal modo favorire la stabilità e impedire all’Iran di sviluppare tecnologie di quel tipo?».