Lo scontro

Le due Chiese dopo Ratzinger: ora Francesco è sotto attacco

La scomparsa di Benedetto XVI ha rotto l’argine che tratteneva la pressione degli ambienti tradizionalisti più ostili a Bergoglio – Nel giro di pochi giorni, l’uscita dei libri di monsignor Gänswein e del cardinale Müller ha riaperto il fronte di chi vorrebbe le dimissioni del Papa
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Dario Campione
31.01.2023 06:00

Il 31 dicembre scorso, con la morte di Benedetto XVI, è iniziata la seconda fase del pontificato di Francesco. Sin qui caratterizzato dall’inedita compresenza di due Papi: uno regnante, l’altro emerito.

Alcuni commentatori hanno sottolineato come Bergoglio, adesso, sia molto più libero, non avendo alle spalle l’ombra di un potere parallelo contrapponibile a quello legittimo. Ma, allo stesso modo, hanno evidenziato come il Papa sia anche più solo. Joseph Ratzinger ha infatti rappresentato per 10 anni «un argine contro la pressione degli ambienti tradizionalisti più irriducibili, ostili» al pontefice argentino. Ed è evidente, per tutto ciò che è accaduto nei pochi giorni dalla morte di Benedetto, che una parte della Chiesa si sta ora muovendo compatta contro Francesco. Chiedendone a gran voce le dimissioni.

Il rischio che, «saltato il diaframma» del Papa emerito, «lo scontro nei palazzi vaticani e negli episcopati si inasprisca, finendo per scaricarsi su Francesco, non va escluso, né sottovalutato», ha scritto Massimo Franco sul Corriere della Sera. Il «patto tacito» tra predecessore e successore per evitare sbandamenti nell’una e nell’altra direzione in nome dell’unità della Chiesa è inevitabilmente saltato.

Colpi di mortaio

I segnali, in questo senso, sono inequivocabili. Nel giro di qualche settimana, sono stati dati alle stampe due libri che molto somigliano a giganteschi colpi di mortaio sparati contro Casa Santa Marta, la residenza in cui Francesco ha scelto di vivere, dentro le mura leonine, dopo aver deciso di non salire al piano nobile dei Palazzi apostolici. Non solo. Un terzo colpo di cannone è deflagrato dopo la morte del cardinale australiano George Pell. È infatti emerso come fosse proprio lui «Demos», l’autore del «memorandum sul prossimo conclave» fatto circolare, lo scorso anno, tra i componenti del Sacro Collegio. Ma andiamo con ordine.

Il fuoco di sbarramento contro il Papa è iniziato con le memorie di monsignor Georg Gänswein, Nient’altro che la verità (Piemme), scritte a quattro mani con il giornalista Saverio Gaeta. Il Prefetto della Casa Pontificia, per 20 anni segretario particolare di Benedetto XVI, non soltanto non ha smentito le distanze tra i due pontefici, ma se possibile le ha in qualche modo accentuate.

Un unico passaggio del libro basta a chiarire bene la sostanza della questione: «Ovviamente, sono state a tutti evidenti le diversità nelle modalità di comportamento e nelle sfumature di giudizio teologico con cui entrambi i Papi hanno rispettivamente affrontato le problematiche emerse durante i loro pontificati - dice Gänswein - Ma Benedetto, anche se qualcuno ha provato a stuzzicarlo, non ha mai ipotizzato spiegazioni per la strategia di Francesco. In effetti, mi sembra che l’analisi più corretta possa individuare come problema non tanto quello della coesistenza di due Papi, uno regnante e uno emerito, quanto la nascita e lo sviluppo di due tifoserie, poiché con il passar del tempo ci si rese conto sempre di più che effettivamente c’erano due visioni della Chiesa. E queste due tifoserie - ciascuna fondandosi su affermazioni, gesti, o anche soltanto impressioni riguardo ad atteggiamenti di Francesco e di Benedetto - hanno creato quella tensione che si è poi riverberata anche su quanti non erano sufficientemente consapevoli delle dinamiche ecclesiastiche».

Due «tifoserie in tensione» tra loro non sono proprio una rappresentazione tranquillizzante delle dinamiche interne alla Chiesa. Ma le considerazioni di monsignor Gänswein, pure molto critiche verso Bergoglio, sono nulla rispetto alle parole incendiare dell’ex Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale tedesco Gerhard Müller, “licenziato” dal Papa argentino nel 2017 ben prima del compimento dei 75 anni.

In un libro-intervista di Franca Giansoldati (In buona fede, Solferino), parlando della modalità di governo della Chiesa adottata da Bergoglio, Müller usa toni durissimi: «È evidente che non si può parlare di “dittatura” - premette sibillino - Tuttavia, non si possono tacere gli effetti che producono certi orientamenti. Molte [delle] scelte sono state suggerite al Papa da alcuni suoi strettissimi consiglieri. Vi è come una sorta di cerchio magico che gravita attorno a Santa Marta formato da persone che, a mio parere, non sono preparate dal punto di vista teologico». Ma è nel capitolo intitolato significativamente «Lo strappo» che il cardinale tedesco affonda il colpo, dicendo chiaramente che nella Chiesa di Francesco, sulla spinta anche di riflessioni provenienti da un altro grande gesuita, Carlo Maria Martini, è in atto una «protestantizzazione, che viaggia in modo strisciante», forte «di una visione liberale che non tiene conto della tradizione. [...] All’interno dell’attuale pontificato ha preso piede una corrente ideologica che colloca i “tradizionalisti” tra gli oppositori della modernizzazione in corso voluta dal Papa e sono ritenuti responsabili di tanti rallentamenti alle riforme di Francesco». Una situazione, dice Müller, che «dovrebbe indurre a riflettere».

Il memorandum anonimo

Infine, il «memorandum» del cardinale Pell. Dopo la morte del prelato australiano, avvenuta il 10 gennaio, il giornalista italiano Sandro Magister ha rivelato, sul sito dell’Espresso, come l’autore del documento fosse appunto l’ex Prefetto della Segreteria per l’Economia, finito sotto accusa per pedofilia ma poi assolto dalla Giustizia del suo Paese.

«Questo pontificato è un disastro sotto molti o più aspetti, una catastrofe - scriveva Pell - La centralità di Cristo nell’insegnamento si indebolisce; Cristo viene rimosso dal centro. A volte Roma sembra addirittura confusa sull’importanza di uno rigoroso monoteismo, alludendo a un certo concetto più ampio di divinità; non proprio panteismo, ma come una variante del panteismo indù».

Durissimo, poi, l’attacco a Bergoglio, accusato di assumere decisioni e linee politiche guardando soprattutto al «politicamente corretto. Il prestigio del Vaticano è ora a un livello basso. L’influenza politica di papa Francesco e del Vaticano è trascurabile. Intellettualmente, gli scritti papali mostrano un declino rispetto ai livelli di san Giovanni Paolo II e di papa Benedetto».

La coesistenza dei pontefici, «fatto straordinario»

Giacomo Galeazzi, oggi a capo del desk delle inchieste al quotidiano torinese La Stampa, ha seguito per oltre 30 anni le vicende vaticane, scrivendo sul tema una quindicina di libri. L’ultimo suo lavoro, uscito pochi giorni fa per Rubbettino, è interamente dedicato a Benedetto XVI, il Papa «sceso dal trono» di Pietro.

«Non era mai successo, nella storia, che vi fossero contemporaneamente un Papa regnante e un Papa emerito - dice Galeazzi al CdT - Qualcosa di totalmente anomalo e non regolato, né inquadrato, canonicamente. Un fatto straordinario, che spiega probabilmente le turbolenze che scuotono il governo della Chiesa».

Nonostante il rapporto tra Francesco e Benedetto «sia sempre stato buono e ben gestito - spiega il vaticanista della Stampa - tra le rispettive tifoserie, per usare le parole di monsignor Georg Gänswein, ci sono stati scompensi. Mi viene in mente che il motto di Casa Savoia era “Qui si governa uno per volta”. Nella Chiesa è lo stesso. Quando si elegge il nuovo Papa, tutto cambia, e la precedente gestione non fa pressione su quella che segue. Alla morte di Pio XII, la sua potentissima segretaria, suor Pascalina Lehnert, fu cacciata: non la fecero più entrare in Vaticano e le restituirono gli effetti personali calandoglieli dall’alto con un paniere».

Con il Papa emerito, dice Galeazzi, questo spoil system è stato molto parziale. «L’esistenza in vita di Benedetto è diventata un alibi», ma ha anche evitato scontri dottrinali duri. Gli stessi che, adesso, sono esplosi con fragore. «È molto strambo che Benedetto XVI “parli” con il suo libro-testamento a pochissimi giorni dalla morte, così come appare discutibile che i ratzingeriani attacchino il Papa: Gänswein, ma anche il cardinale Müller».

Il punto è, conclude Galeazzi, che di fronte al «travaglio della fede in un mondo scristianizzato e secolarizzato», l’esistenza di due Chiese può diventare un gigantesco problema. E piegare, pericolosamente, l’unità dei cattolici.