Il fenomeno

Le proteste della Generazione Z

Dal Kenya all’Argentina, dal Nepal al Madagascar, i giovani scendono in piazza e denunciano l’aumento del costo della vita, le difficoltà nel trovare lavoro e le mancate promesse della politica - Il ruolo centrale dei social e di slogan che diventano anche universali
©HENITSOA RAFALIA
Matteo Giusti
17.10.2025 06:00

Le strade e le piazze delle capitali del Sud del mondo da oltre un mese sono invase dalle proteste della cosiddetta Generazione Z. Questa definizione indica i nati tra il 1997 e il 2012, cresciuti in un contesto di profonda crisi economica e instabilità geopolitica. La GenZ protesta per l’aumento del costo della vita, la difficoltà nel trovare lavoro e le mancate promesse della politica. La caratteristica di questa ondata globale è la connessione attraverso la rete, nonostante i tentativi di blocco da parte dei governi, una metodica che ridefinisce la natura delle proteste. Nel mese di settembre sono iniziate in modo massivo contagiando tre continenti, anche se in Kenya i giovani nel 2024 avevano già incendiato il Paese per la situazione economica. Senza leader dichiarati, anche se blogger e tiktoker giocano spesso questo ruolo, questi giovani e giovanissimi scatenano la loro frustrazione sulla società, tutto rigorosamente filmato con i cellulari e subito condiviso in rete. La loro spontaneità sembra autentica senza una mano dietro che li organizzi per conquistare il potere, come successo nell’esperienza delle Primavere arabe. Non hanno strategie precise, e i luoghi di incontro si condividono su TikTok, Instagram, Discord, Telegram. Usano gli stessi slogan e codici di riconoscimento, in Paesi dove il 30% della popolazione è sotto i 30 anni. L’età è indubbiamente il fattore predominante e questo spiega il perché non attecchisca nei Paesi occidentali, dove i giovani sono da anni una netta minoranza.

Motivi diversi

Il motivo scatenante è spesso molto diverso: in Argentina sono stati i femminicidi, in Nepal la corruzione della classe politica, in Perù le leggi liberticide e la debolezza del governo, in Marocco la malasanità e in Madagascar la mancanza di acqua e luce elettrica nelle città. Sopra le teste di migliaia di ragazzi sventola il Jolly Roger, la bandiera pirata del manga giapponese One Piece, diventato simbolo globale di una ribellione nata anche in televisione. L’ultimo a muoversi è stato il Perù, dove gli studenti riuniti nel Blocco Universitario sono riusciti a organizzare uno sciopero generale in tutto il Paese, anche in difesa delle minoranze indigene. A Lima l’assalto al Congresso per chiedere le dimissioni del nuovo primo ministro Jose Jeri è stato fermato provocando 75 feriti e una decina di arresti. Molto peggio è andata in Nepal dove gli scontri hanno provocato più di 50 vittime e il palazzo del Parlamento è stato incendiato, mentre i ministri sono stati prelevati dalle loro abitazioni e malmenati. Ma a Kathmandu il movimento si è anche trasformato in une specie di agora digitale dove la Generazione Z ha scelto il nuovo primo ministro. Al posto del contestatissimo Khadga Prasad Sharma Oli, è stata scelta l’ex presidente della Corte suprema Sushila Karki, prima donna a guidare la nazione himalayana. Al ministero degli Interni il nuovo premier ha nominato Om Prakash Aryal, membro della Corte Costituzionale. «Il nuovo governo del Nepal ha riportato la calma nel Paese, noi condanniamo ogni forma di violenza e siamo qui per lavorare insieme con i manifestanti. Ma il nostro primo atto sarà consegnare alla giustizia chi ha commesso crimini in queste difficili giornate. L’esercito resterà a pattugliare le strade, e il generale Ashok Raj Sigdel, capo di Stato maggiore, ha avuto un ruolo determinante nelle trattative. Dobbiamo ascoltare le nuove generazioni, abbiamo fatto molti errori, ma abbiamo la possibilità di far ripartire il nostro Paese. Vedere il Parlamento in fiamme è stato una ferita che per rimarginarsi necessiterà di tempo, ma il Nepal adesso lavorerà con i giovani e per i giovani che non sono soltanto il nostro futuro, ma il nostro presente».

Il colpo di Stato

Se il nuovo governo nepalese è sceso a compromessi e alla fine cederà, dando l’incarico di primo ministro a Balendra Shah, sindaco di Kathmandu, in Madagascar la GenZ ha consegnato il potere alle forze armate. Ad Antananarivo, dopo settimane di violenza, il reparto delle forze speciali CAPSAT ( Corpo d’armata del personale e dei servizi amministrativi e tecnici ) si è schierato dalla parte dei manifestanti, disubbidendo all’ordine del presidente Andry Rajoelina di reprimere il dissenso. Il presidente del Madagascar ha provato a sciogliere l’Assemblea nazionale che lo ha invece dichiarato decaduto. Nella notte fra lunedì e martedì scorsi Rajoelina è scappato dal Paese africano a bordo di un aereo militare francese, facendo poi un appello sui social a resistere a quello che ha definito come un colpo di Stato. Siteny Randrianasoloniaiko è il principale leader dell’opposizione malgascia ed è stato fra i primi a commentare. «Ho proposto una votazione per mettere sotto accusa Rajoelina per diserzione e tradimento dopo la sua fuga, ha abbandonato il Madagascar senza prendersi le proprie responsabilità. I nostri giovani hanno cacciato questo presidente corrotto e si sono affidati ai giovani delle forze armate che vogliono difendere la nostra nazione. Il colonnello Michael Randrianirina ha preso il potere per evitare una guerra civile, ma adesso ci aspettiamo una rapida transizione democratica, servono le elezioni per ridare speranza a tutti quelli che credono che il Madagascar possa risorgere dalla drammatica situazione economica in cui Rajoelina ed il suo clan lo hanno gettato». Tutto riporta alle Primavere arabe del 2011, un esperimento fallito a causa degli interessi internazionali che ne hanno soffocato ogni ideale, una lezione che la Generazione Z dovrebbe aver imparato dai fratelli maggiori.