Europa

L'elettrico può attendere: per le case automobilistiche in crisi un po' di benzina nel motore

Con il nuovo piano della Commissione europea i veicoli diesel e benzina potranno essere venduti anche dopo il 2035 - Il passo indietro arriva soprattutto grazie alla spinta tedesca: gran parte del settore automobilistico esulta, con qualche eccezione
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Michele Montanari
17.12.2025 14:00

Licenziamenti, scioperi e pure la chiusura di interi centri di produzione. Per le case automobilistiche europee la crisi non sembra avere fine. Le cause sono molteplici: la guerra commerciale avviata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, la forte concorrenza cinese, in grado di produrre a prezzi decisamente interessanti rispetto agli standard occidentali, ma soprattutto il difficile e costosissimo obiettivo di trasformare tutto il parco veicoli in full elecrtic, come previsto dal Green Deal targato UE.

Secondo l'Associazione dei Costruttori Europei di Automobili (ACEA), la domanda di mercato per le auto elettriche è attualmente troppo bassa e, senza una modifica delle norme, i produttori avrebbero rischiato sanzioni «multimiliardarie» di euro. Oggi dunque diversi attori del settore automobilistico possono esultare: la Commissione europea ha infatti presentato il pacchetto automobilistico per «sostenere gli sforzi del settore nella transizione verso una mobilità pulita», che di fatto alleggerisce il diktat sulla transizione a zero emissioni previsto per il 2035. L’UE ha rivisto il divieto totale di vendita di motori diesel e benzina e tra 10 anni i costruttori non dovranno più azzerare le emissioni, ma ridurle del 90%, lasciando quindi sul mercato anche i modelli non completamente elettrici o alimentati a idrogeno.

Il restante 10% delle emissioni, stando al nuovo piano, dovrà essere «compensato» dalle case automobilistiche con l’impiego di acciaio a basse emissioni o tramite l’utilizzo di carburanti sostenibili, come e-fuel e biofuel avanzati. Il termine del 2035 previsto dal Green Deal europeo era stato adottato durante il primo mandato di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione, in nome dell’impegno a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.

Si stima che i veicoli a benzina e diesel siano responsabili del 16% delle emissioni di CO2 nei Paesi membri dell'UE, il che avrebbe reso il divieto un pilastro importante della politica climatica europea volta a ridurre le emissioni di gas serra entro il 2050. E infatti non sono mancate le critiche di ambientalisti o di case automobilistiche capaci di rinnovarsi, come Volvo.

Un settore troppo importante per l'Europa

La Commissione UE sembra essersi resa conto di quello che per gran parte degli addetti ai lavori è sempre stata una ovvietà: il settore automobilistico è fondamentale per la forza industriale dell'Europa, crea milioni di posti di lavoro e guida l'innovazione tecnologica del Continente. Non può essere imbrigliato con misure economicamente difficili da sostenere, specialmente in soli 10 anni.

Nello specifico, il nuovo pacchetto – che deve essere ancora approvato dal Parlamento e dal Consiglio europeo – rappresenta un passo indietro rispetto al divieto di vendita di automobili con motori a combustione interna. Se il piano venisse approvato, dopo il 2035 sarebbe ancora possibile immatricolare, produrre e vendere auto con motori termici o ibride plug-in, nonché veicoli range extender. Si tratta di norme in materia di CO2 più flessibili per «sostenere l'industria e rafforzare la neutralità tecnologica, fornendo nel contempo prevedibilità ai fabbricanti e mantenendo un chiaro segnale di mercato verso l'elettrificazione», ha evidenziato la Commissione UE.

I costruttori di automobili potranno beneficiare di «supercrediti» per le piccole vetture elettriche a prezzi accessibili prodotte nell'Unione europea, per incentivare l’arrivo di tali veicoli sul mercato, mentre per il segmento dei furgoni è prevista una riduzione dell'obiettivo di CO2 per il 2030 dal 50 % al 40 %. L’Europa prevede inoltre un nuovo regolamento che impone obiettivi di flotta aziendale a zero emissioni per ogni Paese dell'UE, misure per valorizzare e rafforzare l’industria delle batterie, nonché l’alleggerimento della burocrazia e degli oneri amministrativi per i produttori.

La forte spinta tedesca

Il nuovo piano UE è arrivato sotto la forte spinta di Germania, Italia, delle case automobilistiche in generale (con qualche eccezione) e del Partito Popolare Europeo (PPE), secondo il quale il divieto assoluto deciso nel 2023 avrebbe limitato la capacità del settore di competere a livello globale, togliendo inoltre la libertà di scelta ai consumatori.

Citato dal Politico, un diplomatico dell'UE a cui è stato garantito l’anonimato ha ammesso che soltanto sei mesi fa sarebbe stato impensabile che la Commissione europea apportasse questa «inversione di rotta», definendo «l'intervento decisivo» della Germania un «punto di svolta nel destino della misura prevista nel Green Deal: l'ideologia dell'elettrico puro sta finendo». Il presidente del PPE Manfred Weber, anch'egli tedesco, come pure Ursula von der Leyen, ha fatto sapere che l'abolizione del divieto sarà la sua «massima priorità nella nuova era»: «Possiamo affrontare la sfida del cambiamento climatico solo se la combiniamo con un approccio economicamente ragionevole. Il motore a combustione interna potrà essere venduto nell'Unione europea dopo il 2035», ha affermato ieri durante una conferenza stampa.

D'altronde il cancelliere tedesco Merz nella sua corsa alla guida del Paese aveva promesso di voler abolire il divieto. La proposta della Commissione UE per l'esponente della CDU  permette di «allineare gli obiettivi climatici, le realtà del mercato, le aziende e i posti di lavoro», grazie al «chiaro segnale lanciato dal Governo tedesco». 

Per mesi Merz ha cercato di unire la sua coalizione per quantomeno posticipare la stretta sulle vetture a batterie. «La realtà è che nel 2035, 2040 e 2050 ci saranno ancora milioni di automobili con motore a combustione in tutto il mondo», aveva spiegato a fine novembre, trovando il favore del vicecancelliere e ministro delle Finanze della SPD, Lars Klingbeil, il quale si era mostrato d'accordo su una modifica al divieto UE, evidenziando: «La futura sostenibilità dell'industria automobilistica tedesca, la garanzia di posti di lavoro, questo è per noi l'argomento chiave. Siamo d'accordo sul fatto che il futuro dell'industria sia elettrico... ma dobbiamo essere aperti a più tecnologie, abbiamo bisogno di flessibilità».

Tra chi ha sposato la linea tedesca, non va dimenticata la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, la quale aveva difeso il settore automobilistico della Penisola inviando una lettera a Bruxelles (sottoscritta pure dai primi ministri di Bulgaria, Repubblica ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia). E ieri il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha infatti esultato dinnanzi all’annuncio della Commissione: «Abbiamo bloccato il divieto dei motori a combustione interna dal 2035. Una scelta che tutela 70 mila posti di lavoro solo in Italia. Sì alla tutela dell'ambiente, ma sempre salvaguardando la dignità della persona, di chi fa impresa e crea lavoro», il suo commento.

Le reazioni del settore

Inutile dire che le maggiori case automobilistiche europee hanno accolto con favore la proposta. Volkswagen, ad esempio, reputa il piano «nel complesso economicamente valido. Il fatto che in futuro i piccoli veicoli elettrici riceveranno un sostegno speciale è molto positivo. È estremamente importante che gli obiettivi di CO2 per il 2030 siano resi più flessibili per le autovetture e adeguati per i veicoli commerciali leggeri. Aprire il mercato ai veicoli con motori a combustione interna compensando al contempo le emissioni è una scelta pragmatica e in linea con le condizioni di mercato». Secondo Mercedes-Benz, «la Commissione UE ha compiuto un passo nella giusta direzione, verso una maggiore flessibilità per noi produttori e verso la necessaria neutralità tecnologica. L'UE sta quindi reagendo alla stagnante crescita della mobilità elettrica in Europa». Mentre per BMW si tratta di «un primo passo importante che la Commissione europea non persegua più i divieti tecnologici come principio guida, ma riconosca la futura fattibilità del motore a combustione».

Più critica, invece Stellantis, produttrice di Jeep e Fiat, secondo la quale «le proposte non affrontano in modo significativo le problematiche che il settore sta affrontando in questo momento. In particolare, il pacchetto non riesce a fornire una traiettoria praticabile per il segmento dei veicoli commerciali leggeri, che si trova in una situazione critica, né a garantire le flessibilità richieste dal settore per il 2030 per le autovetture»

Senza citare le aziende che già sviluppano elettrico, tra quelle più «tradizionali», Volvo rappresenta una voce fuori dal coro. La casa automobilistica svedese ha spiegato di aver «costruito un portafoglio completo di veicoli elettrici in meno di 10 anni», dicendosi pronta a passare completamente all'elettrico, utilizzando l'ibrido come soluzione di transizione. Secondo Volvo, «l'indebolimento degli impegni a lungo termine per ottenere guadagni a breve termine rischia di compromettere la competitività dell'Europa negli anni a venire», specialmente nei confronti della Cina.

Esulta anche la Svizzera

Anche Auto-Svizzera ha accolto con favore l'annuncio della Commissione europea, chiedendo al Consiglio federale migliori condizioni quadro. Secondo l'associazione degli importatori di veicoli, la decisione dell'UE suona come «un'ammissione del fatto che nei prossimi dieci anni non sarà possibile creare un ecosistema sostenibile per la mobilità elettrica». Secondo Peter Grünenfelder, presidente di Auto-Svizzera, l'industria automobilistica elvetica è confrontata a una politica climatica «decisamente più dogmatica» rispetto al resto dell'Europa, e Berna dovrebbe innanzitutto garantire «un'infrastruttura di ricarica sufficiente e facilmente accessibile, aprendo allo sviluppo di nuove tecnologie».