Ucraina

L'elezione di Volodymyr Zelensky, cinque anni fa

Il 31 marzo del 2019 si tenne il primo turno delle presidenziali che, ad aprile, incoronarono l'attore e comico – Nel 2024, invece, il Paese si interroga: «Nuove elezioni? Non è il momento giusto» continua a ripetere il presidente
Marcello Pelizzari
31.03.2024 23:15

Oggi, con la pace a regnare su tutta l'Ucraina, il Paese si sarebbe recato alle urne per esprimere il proprio voto. E invece, Kiev sta respingendo, ancora, l'invasione russa. Motivo per cui le presidenziali, beh, sono state rinviate a data da destinarsi. Cinque anni fa, l'ex Repubblica sovietica scelse un volto noto eppure politicamente acerbo: Volodymyr Zelensky, celebre per le sue doti di attore e comico. Il primo turno si tenne proprio il 31 marzo. Oggi, Zelensky sorride di rado e, se lo fa, è per amarezza. Milioni di suoi concittadini vivono da sfollati, altri combattono in prima linea, al fronte, e altri ancora sono stati costretti a fuggire all'estero. 

La posizione del governo

Il presidente ucraino, in realtà, di per sé non sarebbe contrario a nuove elezioni. Negli ultimi mesi, tuttavia, ha chiarito più volte che il Paese non è pronto a un simile esercizio democratico. Non quando missili e droni lanciati dalla Russia continuano a piovere sulle teste degli ucraini. Di più, la stessa Costituzione non prevede elezioni in tempo di guerra. L'unica soluzione sarebbe sospendere la Legge marziale per andare al voto. Ma è complicato, ancorché pericoloso. 

I sondaggi di opinione, scrive fra gli altri la CNN, suggeriscono che agli ucraini, in realtà, non ritengono le presidenziali una questione urgente. Il mese scorso, ad esempio, solo il 15% fra gli intervistati aveva dichiarato all'Istituto internazionale di sociologia di Kiev che il Paese avrebbe dovuto, a prescindere, organizzare delle elezioni. Zelensky, come detto, in linea di principio non ha mai rifiutato l'idea che, all'interno di una democrazia, il voto debba sempre essere garantito. «Le elezioni sono una difesa della democrazia e andrebbero pensate anche in tempo di guerra» aveva detto, ad agosto, a una televisione del Paese. Con il passare dei mesi, per contro, il presidente – che nel 2019 aveva promesso una maggiore apertura e trasparenza – ha usato toni meno concilianti e più diretti. Ribadendo, più volte, che «non è il momento giusto». 

Una posizione, questa, criticata sia all'estero sia entro i confini ucraini. Oleskiy Koshel, membro del Comitato per gli elettori dell'Ucraina, un gruppo di pressione deputato a difendere i diritti democratici, vede ad esempio in questo continuo rifiuto un preciso (e lucido) calcolo politico da parte di Zelensky. Della serie: quando l'indice di gradimento del presidente, complice il perdurare della guerra, ha iniziato a calare, la posizione circa nuove elezioni è cambiata. Come se, congelando l'esercizio democratico, Zelensky volesse conservare il proprio posto.

Che ne pensano gli americani?

Il tema, evidentemente, è stato affrontato anche dal Congresso degli Stati Uniti, che continua a tergiversare su nuovi aiuti militari, ed è stato evocato in particolare da alcuni repubblicani. Kiev, agli occhi di alcuni membri del Grand Old Party, starebbe usando le non elezioni come leva per ottenere gli aiuti. Della serie: voi non ci sostenete? E noi, allora, non garantiamo l'esercizio democratico. Le cose, come spesso accade, in realtà sono molto più complesse. Anche se critiche all'atteggiamento dell'amministrazione Zelensky sono piovute pure dai sostenitori più puri (e duri) dell'Ucraina. Come il senatore della Carolina del Sud Lindsey Graham. Il quale, lo scorso anno, aveva sentenziato: «Voglio che questo Paese abbia elezioni libere ed eque, anche se è sotto attacco. Il popolo americano deve sapere che l'Ucraina è diversa. In passato è stato un Paese molto corrotto».

In occasione della sua ultima visita in Ucraina all'inizio del mese, per contro, Graham aveva notevolmente ammorbidito la sua posizione. Affermando di condividere la decisione di Zelensky. «Tutti quelli con cui ho parlato mi hanno detto che è necessario migliorare la situazione al fronte prima di indire le elezioni. Per me ha senso, essendo stato sul campo».

D'accordo, ma come si fa a far votare tutti?

Il problema, fra i tanti, era ed è garantire che tutti gli aventi diritto al voto abbiano possibilità, effettivamente, di votare. Le stime indicano che 7 milioni di ucraini abbiano lasciato il Paese dall'inizio dell'invasione su larga scala, mentre gli sfollati interni sono diversi milioni. Per tacere delle persone che vivono nei cosiddetti «territori temporaneamente occupati». Il 20% circa del Paese, mentre scriviamo queste righe, è sotto il controllo russo. Indire, comunque, delle elezioni agli occhi di Zelensky significherebbe dire a chi è rimasto a vivere nei citati territori occupati che Kiev li ha abbandonati. Quantomeno, il sospetto che il Cremlino cavalchi questo tema è forte. L'ultimo aspetto riguarda poi i soldati che stanno combattendo per liberare il Paese: come potrebbero assentarsi per esercitare un loro diritto? Quando? 

Gli stessi militari, intervistati dalla CNN, hanno (quasi) tutti risposto in coro che no, le elezioni ora come ora sarebbero una cattiva idea. Non solo, l'impressione delle forze armate è che un eventuale cambio di leadership potrebbe avere conseguenze sull'andamento della guerra. E sul sostegno stesso all'esercito. 

Quantomeno, per il momento gli ucraini si affideranno ai sondaggi di opinione. Il 64% degli intervistati, secondo una recente indagine, crede ancora che Zelensky sia il leader giusto per scacciare i russi. E per avvicinare, una volta per tutte, l'Ucraina all'Europa e alla NATO. Koshel, per contro, ritiene che quando il Paese – finalmente – tornerà a votare Zelensky potrebbe cedere il passo di fronte all'emergere di figure politiche vicine o uscite dall'esercito.

Come andò cinque anni fa

Cinque anni fa, dicevamo, Volodymyr Zelensky vinse le elezioni. Presentatosi in quota Servitore del Popolo, il partito fondato due anni prima assieme a Ivan Bakanov, il 31 marzo – al primo turno –ottenne 5.714.034 voti per una quota del 30,6%. Opposto al candidato indipendente (nonché presidente uscente) Petro Poroshenko, il 21 aprile Zelensky conquistò una valanga di voti: 13.541.528 per una quota del 74,96%. 

I leader mondiali, allora, fecero a gara per congratularsi con l'oramai ex comico. I complimenti piovvero, copiosi, da Washington, Bruxelles, Parigi e Berlino. Ma non da Mosca. «È troppo presto per parlare di congratulazioni di Putin a Zelensky» commentò, quasi stizzito, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che in smaccato ritardo rispetto agli altri Paesi aggiunse: «Lo giudicheremo dalle sue azioni».

Lo spettacolo democratico dell’alternanza del potere, d'altro canto, non passò certo inosservato in Russia, tant’è vero che Alexei Navalny, il blogger trasformatosi leader dell’opposizione, si complimentò con gli ucraini per la regolarità del voto, «raro dalle nostre parti». Non a caso, lo stesso Zelensky si rivolse ai vicini dello spazio ex-sovietico esortandoli a prendere esempio dall’Ucraina: «Tutto è possibile».