L'estrema destra tedesca e la spinta dell'ex DDR

La crescita di consenso in Germania della AfD (Alternative für Deutschland) sembra non avere freni. Dopo aver eletto dieci giorni fa a Sonneberg, in Turingia, il suo primo Landrat (Robert Sesselmann), e a Raguhn-Jessnitz, in Sassonia-Anhalt, il primo sindaco (Hannes Loth) l’AfD vola anche nei sondaggi. Nell’ultima rilevazione di Insa per Bild, pubblicata il 5 luglio scorso, l’ultra-destra tedesca ha raggiunto il 21% di potenziali voti, un +0,5% rispetto alla precedente indagine, confermandosi seconda forza davanti all’SPD del cancelliere Olaf Scholz, partito che perde invece mezzo punto percentuale e si assesta al 19%.
L’AfD minaccia adesso da vicino l’unione di CDU e CSU, anch’essa in calo di un punto, al 25,5%. Il confuso quadro politico tedesco è completato dal 14,5% assegnato ai Verdi (+1%), dal 5% della Sinistra (Die Linke, +0,5%) e del 6,5% dei Liberali (FDP). Il restante 8,5% è disseminato tra forze politiche e movimenti che, non superando la soglia di sbarramento, non potrebbero comunque entrare in Parlamento.
Le posizioni
Pure se apertamente ostracizzata, tenuta ai margini, l’AfD è riuscita ugualmente ad accrescere il proprio peso elettorale e politico. E rischia ora di modificare in profondità il sistema tedesco.
Nata 10 anni fa come partito anti-euro, l’AfD ha costruito rapidamente una consistente forza nelle urne: prima, sfruttando - nel 2015 - la crisi dei migranti; poi, nel 2020, cavalcando le proteste contro l’emergenza COVID. Non solo: si oppone alle sanzioni economiche contro Mosca per la guerra in Ucraina, e da sempre contesta ogni scelta ambientalista, negando le cause antropiche del cambiamento climatico. Nulla di diverso da quanto sostenuto dalle altre compagini di estrema destra, sia in Europa sia nelle Americhe. Se non fosse che l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (Bundesamt für Verfassungsschutz, BFV), l’intelligence interna, ha definito la stessa AfD «la più grande minaccia per la democrazia tedesca», e invitato espressamente «gli elettori a tenerlo a mente prima di votare per questo partito nazionalista e anti-immigrati».
Il capo degli 007 di Berlino, Thomas Haldenwang, nella conferenza stampa di presentazione della relazione 2022, non ha certamente attinto a un repertorio di metafore per dire ciò che pensava degli esponenti dell’AfD che «diffondono odio e agitazione contro tutti i tipi di minoranze in Germania, in particolare i migranti», oltre a «mantenere e promuovere un atteggiamento antisemita. Parti dell’AfD sono molto influenzate da Mosca e continuano a diffondere narrazioni russe, in particolare per quanto riguarda la guerra in Ucraina - ha aggiunto Haldenwang - Penso che queste siano circostanze che gli elettori dovrebbero tenere a mente». Nel rapporto 2022, il BFV afferma poi che «il numero di persone potenzialmente coinvolte in attività di estrema destra in Germania è aumentato del 14,5%, a 38.800, mentre il numero di attivisti di estrema destra pronti a usare la violenza è salito a 14.000 da 13.500». Considerazioni e allarmi che non hanno spostato di una virgola le tendenze alla crescita di consensi dell’estrema destra.
Più forti a Est
Secondo alcuni analisti, ad esempio il politologo dell’Università di Mannheim Marc Debus, gli elettori dell’ex DDR, dove la lealtà ai partiti è meno consolidata, sono più ricettivi nei confronti dell’AfD perché incolpano le forze politiche tradizionali (che si sono alternate nei vari governi nel corso degli ultimi anni) per i redditi più bassi che persistono nell’Est, tre decenni dopo la riunificazione.
A osservatori distanti dalla realtà tedesca può sembrare paradossale, quando non addirittura assurdo, ma nella Germania Est meno della metà della popolazione si dice oggi soddisfatta della democrazia. Un’analisi dell’Istituto Else Frenkel-Brunswik dell’Università di Lipsia, condotta su 3.546 residenti nella ex DDR, ha rilevato che «in Sassonia, Sassonia-Anhalt e Turingia il potenziale per la destra e i neonazisti di trovare elettori è particolarmente elevato. Un cittadino su due vuole un partito forte che incarni la comunità nazionale intesa non come diversità di persone ma come società “völkisch” (etnica, ndr). La nostra ricerca - si legge nel documento - mostra come ormai molti tedeschi della ex Germania orientale abbiano smesso di chiedere maggiore partecipazione democratica e salvaguardia dei diritti ma vogliano la sicurezza dello Stato autoritario».
Colpa di una riunificazione malriuscita, da cui «un quarto [di cittadini] si sente uscito come perdente e nemmeno la metà si definisce vincitore». In parallelo lo studio rileva «l’alto tasso di approvazione dei cittadini dell’Est per le dichiarazioni xenofobe, respinte solo da un’esigua minoranza».
In uno studio pubblicato il 7 giugno scorso, l’Istituto tedesco per i diritti umani ha affermato che l’AfD «potrebbe essere messa al bando perché i suoi obiettivi espliciti sono eliminare il libero ordine democratico e abolire la garanzia della dignità umana sancita dalla Costituzione tedesca».
L’idea di mettere al bando un partito, però, non è solo politicamente rischiosa, ma pone anche un dilemma morale per molti. Come ha scritto il filosofo tedesco Jan-Werner Müller, docente di Scienza politica a Princeton, le democrazie sono «dannate se lo fanno, dannate se non lo fanno. Se da un lato vietare un partito popolare può minare i pilastri della democrazia, dall’altro lasciare un Paese esposto alla minaccia dell’estremismo può essere pericoloso e alla fine non lasciare alcuna democrazia da difendere».
«Nell'Europa dei populisti il caso di Berlino è peculiare»
Gustavo Corni, già ordinario di Storia contemporanea e Storia della Germania all’Università di Trento, è da decenni uno degli osservatori più attenti delle vicende tedesche. Nel 2017 ha pubblicato, con Il Saggiatore, una Storia della Germania che ripercorre gli ultimi 160 anni del Paese.
«Il caso tedesco - dice Corni al Corriere del Ticino - è molto peculiare, anche se si inserisce nel contesto più generale dell’indiscutibile ascesa delle destre populiste in Europa, ormai al governo anche in alcuni Paesi scandinavi e in Italia. Un’ascesa che ha radici assai profonde nella globalizzazione e nella paura della massiccia immigrazione in Europa, ma che in Germania assume connotati nuovi. La Costituzione federale del 1949 prevede la messa al bando di qualunque movimento o partito che si richiami al nazionalsocialismo. Queste norme sono state applicate poche volte, tra gli anni ’50 e ’60, e hanno colpito il Partito Comunista della Repubblica Federale e alcune formazioni politiche di destra. Dopo, non è più accaduto. E movimenti come i Republikaner e la stessa Alternative für Deutschland (AfD) sono stati, credo, parecchio sottovalutati dall’establishment politico e culturale». In un passaggio storico «molto delicato - spiega ancora Corni - varie dinamiche si sono mescolate tra loro favorendo la crescita di consenso dell’AfD, un partito di destra estrema con componenti che riecheggiano il nazismo: la crisi della SPD, ad esempio; o il venir meno del lungo “periodo Merkel”, che ha indebolito la CDU-CSU. La cancelliera, a buon diritto e dopo venti anni di governo, si è tirata fuori dalla politica, ma all’orizzonte non si vedono successori del suo calibro».
Un successo, quello riscosso dall’AfD, che il professor Corni giudica «preoccupante, soprattutto dal punto di vista politico-culturale. In Germania, l’insieme dell’intellighenzia e delle classi dirigenti centriste, moderate o riformiste-socialdemocratiche ha tentato di fare i conti con il nazismo e di espungerne le radici dalla società. Questo fa sì che l’opinione pubblica tedesca sia particolarmente sensibile a una ripresa dei temi anche soltanto echeggiati dalla AfD. Se consideriamo il ruolo della Germania nel contesto continentale, tutto questo non può che allarmare». Lo storico dell’Università di Trento osserva, «con profonda inquietudine», le spinte anti-europeiste dell’estrema destra ma, soprattutto, «la passività e l’assenza del Governo Scholz dai contesti dell’Unione rispetto al “presentismo” di Angela Merkel: noi abbiamo grande bisogno di una Germania stabile al centro dell’Europa. Bisognerà quindi capire se questo impallidire della colonna portante dell’UE possa provocare sconquassi profondi. Continuo a confidare che gli anticorpi instillati nell’opinione pubblica tedesca in decenni abbiano la capacità di controbattere con sufficiente decisione l’avanzata dell’AfD».
La politische Bildung, il processo di formazione politica che distingue i cicli educativi in Germania «è tutt’ora attiva nelle scuole e in una fitta rete sociale e culturale estesa a tutti i luoghi della memoria tedesca - conclude Gustavo Corni - Il problema in più è forse rappresentato dai territori della ex DDR, nei quali molti continuano a dubitare che vi sia stata una vera riunificazione economica, sociale e politico-culturale. Il divario con l’Ovest è ampio, e l’AfD è forte soprattutto a Est così come in passato lo erano altri movimenti e partiti di protesta quali i Republikaner o i Piraten».