«Lima sostiene i responsabili dell’attuale disastro politico»

Dalla destituzione del presidente del Perù Pedro Castillo lo scorso 7 dicembre, il Paese sudamericano - ora presieduto da Dina Boluarte (che era la sua vice) - è sprofondato in una profonda crisi politica e sociale. Sono subito esplose le violenze con baricentro nella regione di Puna, con un bilancio terrificante: 44 morti e centinaia di feriti. Ne abbiamo parlato con José Ramiro Llatas Perez dell’organizzazione di cooperazione allo sviluppo, Comundo.
In Perù è esplosa la violenza e il Paese è nel caos. Il popolo vuole che sia destituita la neoeletta presidente Dina Boluarte, che ora è anche indagata per genocidio insieme ad alcune delle più alte cariche dello Stato. È immaginabile che in futuro a Lima ci possa essere ancora questa dirigenza?
«Ci sono dubbi sul fatto che Boluarte stia governando con coloro che hanno perso le elezioni. C’è un compromesso con un settore di maggioranza del Congresso della Repubblica. Sono i perdenti delle elezioni a governare e sono legati ad accuse di corruzione e violazione dei diritti umani, come ad esempio i fujimoristi. Questo settore del Congresso che governa con Boluarte sta cercando di modificare diversi articoli della Costituzione per rimanere al potere. Di recente hanno votato la fiducia al gabinetto della presidente, nonostante gli oltre 40 morti che si sono verificati a causa della responsabilità politica e penale dell’attuale governo. La situazione si calmerà quando ci saranno nuove elezioni e Boluarte, e la parte del Congresso che lo sostiene, lasceranno il potere. Non c’è nemmeno la garanzia che il prossimo Congresso sarà migliore. Lima, la capitale, e altri luoghi dove ci sono più elettori, votano a favore dei responsabili dell’attuale crisi politica».
Colpisce la violenza delle proteste: il bilancio, finora, è di 44 morti, centinaia di feriti, un poliziotto bruciato vivo, numerosi saccheggi. Cosa c'è dietro a tanto odio?
«Voler rimanere al potere nonostante la delegittimazione. Forti interessi economici, rappresentati ad esempio dalle università che sono state chiuse, dalle lobby che vogliono disboscare l’Amazzonia o dai gruppi di potere che vogliono continuare a favorire indebitamente le grandi compagnie minerarie e petrolifere. Inoltre, razzismo, perché sono gli abitanti delle province (di origine indigena) a lamentarsi e non dovrebbero farlo, dovrebbero obbedire. Sono loro i colpevoli di aver portato al potere un contadino».
Il presidente Castillo, che ora incita i manifestanti, era stato messo in stato d'accusa due volte dal Parlamento. Cosa gli veniva contestato?
«Il Presidente Castillo non ha una legittimazione politica nella maggior parte delle organizzazioni sociali. Non è stato rimosso dal Parlamento, ma ha rischiato di esserlo. Un buon settore di parlamentari non gli ha permesso di governare in complicità con i grandi media. Un’altra questione importante era il profondo razzismo che esisteva sullo sfondo delle origini contadine di Castillo. Fin dall’epoca coloniale e fino ad oggi questo è stato un motivo di discriminazione nel nostro Paese. Non dobbiamo negare che Castillo è stato denunciato per alcune pratiche di corruzione che hanno favorito i suoi parenti nella sua amministrazione, ma anche per accuse assurde come il tradimento, che la Corte Costituzionale ha annullato».
Quali sono, oggi, i problemi più gravi del Perù?
«L’uso abusivo e arbitrario della forza pubblica per giustificare gli omicidi di connazionali sulla base di una presunta difesa dell’‘ordine costituzionale’». In uno stato di diritto, le armi da guerra non possono essere usate per mettere a tacere le rimostranze e poi i governanti cercano di giustificarle e rimangono indifferenti a queste morti ingiuste. La popolazione civile che sta protestando non ha armi. La crisi agraria è alle porte e con essa la scarsità di cibo in città. Instabilità politica e mancanza di leadership. Al momento non esiste una via d’uscita politica da questa crisi».
Il Paese avrebbe bisogno di stabilità politica ed economica. È immaginabile il ritorno di Castillo?
«Non è possibile. È necessaria un’altra figura politica.
Il Sudamerica è attraversato da un'ondata di instabilità tale da minare la tenuta dei Governi stessi. Il welfare è sprofondato anche in Paesi come il Brasile, l'Argentina, il Messico e Cuba. Quanto ritiene sia imputabile la crisi economica al disimpegno degli USA nel IX Summit delle Americhe dell’anno scorso?
«Gli Stati Uniti hanno forti interessi economici in Perù: tra le società minerarie che sfruttano minerali o petrolio, la maggior parte è legata agli USA, seguiti da Canada e Cina. C’è un interesse particolare per lo sfruttamento del litio. Hanno le loro basi militari e sono coinvolti in politiche di lotta al traffico di droga. Penso che questo Paese sia dietro a tutto ciò».