L’ISIS rivendica l’attacco di Londra

Puntuale come una sciagura, la rivendicazione post mortem dell’Isis è arrivata anche questa volta. L’attacco solitario perpetrato ieri a sud di Londra dal ventenne Sudesh Amman, ucciso dalla polizia dopo aver accoltellato qualche passante a casaccio, è roba nostra, ha fatto sapere una presunta fonte del califfato a uno dei giornali di propaganda jihadista che si pubblicano in Medio Oriente.
Una firma sulla cui attendibilità non vi sono conferme e che gli inquirenti britannici al momento ignorano. Ma che in ogni modo non cambia il corso delle indagini, indirizzato fin da subito verso il movente islamico radicale e il probabile contesto da cane sciolto dell’aggressore. Amman, del resto, era perfettamente noto all’antiterrorismo di Scotland Yard, come s’è saputo in poche ore.
Condannato a 3 anni e 4 mesi di prigione nel 2018 per reati d’istigazione all’odio, aveva scontato circa metà della pena prima di essere rimesso in libertà giusto una settimana fa sulla base di benefici che nella legislazione britannica possono scattare automaticamente. Ed era soggetto a «sorveglianza attiva» da parte degli agenti armati che ieri pomeriggio gli hanno infine sparato, freddandolo, dopo il suo improvviso attacco fra i negozi di Streatham High Street, condotto con un coltellaccio in mano e un finto gilet-esplosivo addosso. Attacco nel quale due persone sono state accoltellate e ferite gravemente - seppure non a rischio della vita - e una terza è stata investita da schegge di vetro.
Cosa sia andato storto nel pedinamento, o semplicemente possa essere sfuggito, resta ancora da capire. Per il momento la polizia concentra le indagini su una serie d’indirizzi perquisiti nelle ultime ore: l’ostello di Londra dove il ventenne aveva trovato alloggio non appena rilasciato su cauzione, nonché due abitazioni - una alla periferia sud della capitale e una nello Hertfordshire legate al suo giro di contatti. Arresti comunque non ne risultano.
E intanto si fa viva la madre di Amman, Haleema Faraz Khan, che in un’intervista a Sky News sembra cadere dalle nuvole. Dice di aver visto il suo primogenito giovedì e di averlo trovato «normale», persino «carino e gentile» verso di lei, e d’avergli telefonato di nuovo poco prima del raid senza presentire nulla. Ma ammette che il ragazzo si era «radicalizzato sul web» fin da giovanissimo, aggiungendo che era diventato addirittura «più religioso» nei mesi trascorsi nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh.
Le polemiche e gli interrogativi si moltiplicano tuttavia soprattutto sulla questione dei controlli degli ex detenuti sospetti di estremismo (se ne contano almeno 200 nel Regno nella situazione di Sudesh, secondo i media) e su quella degli sconti di pena. Boris Johnson ha rilanciato sull’argomento, facendo annunciare oggi al suo governo un’ulteriore stretta, oltre alla promessa di risorse aggiuntive e maggiori poteri d’intervento alle forze dell’ordine, dopo il progetto di legge già presentato in seguito al precedente analogo di fine novembre a London Bridge - con protagonista Usman Khan, un altro lupo solitario scarcerato in anticipo per introdurre un giro di vite. Progetto di legge in attesa di essere approvato dalle Camere.
«Stiamo portando avanti una riforma legislativa per mettere fine ai rilasci premio automatici», ha ripetuto in mattinata il premier conservatore a margine del suo discorso manifesto sui negoziati post Brexit con l’Ue. Riforma che tuttavia deve passare per l’iter parlamentare, e non è chiaro se possa essere valere per le sentenze già passate in giudicato.