Lo zar in crisi e i suoi dioscuri
La ritirata da Kherson, dove le truppe ucraine sono entrate venerdì scorso, segna un punto di svolta per Kiev. E per Mosca la dimostrazione - forse, questa volta, definitiva - che le cose non stanno andando così come il Cremlino si aspettava. E già da lungo tempo. La situazione economica si sta deteriorando, le notizie di rivolte all’interno dei campi di addestramento, dove vengono condotte le nuove leve reclutate con la mobilitazione parziale, sono all’ordine del giorno. Come se questo non fosse già sufficiente, sono in corso movimenti all’interno del Paese che potrebbero dare vita a una nuova Russia, persino più pericolosa di quella con cui abbiamo a che fare oggi.
Giallo su Telegram
Aleksandr Dugin, il filosofo appartenente alla corrente dei neo-euroasiatisti, in un post su Telegram ha accusato Putin di essere il responsabile della ritirata da Kherson. Citando un saggio dell’antropologo James Frazer, Dugin ha spiegato che se il sovrano non salva il suo popolo, il suo destino è quello dell’Uomo della Pioggia: la morte. Un messaggio fin troppo forte da quello che, qualche anno fa, era considerato un filosofo in grado di influenzare lo stesso presidente. Il post è stato rimosso e, tanto per cambiare, anche questa volta, si è data la colpa al nemico. «L’Occidente - ha detto Dugin - ha iniziato a far credere che io e i patrioti russi ci siamo rivoltati contro Putin dopo la resa di Kherson, chiedendo presumibilmente le sue dimissioni. Questo non proviene da nessuna parte e si basano su un mio presunto messaggio cancellato».
Le sue parole, però, hanno fatto il giro del mondo e potrebbero essere interpretate come un duplice avvertimento. Lo scorso 20 agosto, il filosofo è scampato a un attentato nel quale, però, ha perso la figlia la figlia Darija. Dell’attacco è stata incolpata l’Ucraina, ma le polemiche sull’inefficienza dei servizi segreti russi sono state parecchie. C’è poi un’altra cosa che a Dugin deve aver dato fastidio, forse più della perdita di Kherson: si tratta della nuova “strana coppia” della politica russa e che, guarda caso, va a pescare proprio in quella Russia ultra conservatrice e ultra nazionalista dove il filosofo, con le sue teorie sul Paese staccato dall’Europa e più vicino all’Asia, è un puto di riferimento.
I delfini del leader
I componenti di questo insolito duo sono niente meno che il presidente della Cecenia, Ramazan Kadyrov, che si è macchiato dei peggiori crimini contro l’umanità, e soprattutto Evgenij Prigozhin, noto alle cronache come “lo chef di Putin” (la figura di imprenditore della ristorazione, però, ormai gli va davvero stretta. Nel corso degli anni, l’uomo d’affari ha fondato la Wagner, di cui ha riconosciuto la paternità solo di recente: si tratta del più grande esercito privato del mondo, con circa 30mila soldati, alcuni recuperati dalle carceri russe. Dal 2013, è a capo della cosiddetta Internet Research Agency, meglio nota come fabbrica dei troll, con cui ha mandato in tilt il dibattito pubblico in mezzo mondo, a furia di fake news e ribaltamenti della realtà a favore di Mosca. Una carriera in crescendo, alla quale mancava solo una cosa: l’ingresso in politica.
Il Wagner Center
Prigozhin sta prendendo la ricorsa. Lo scorso 4 novembre ha inaugurato a San Pietroburgo, città natale sua e del presidente Putin, il Wagner Center, un grattacielo di vetro e acciaio. Nelle parole del fondatore, questo rappresenta un «ambiente confortevole per generare nuove idee per migliorare la capacità di difesa della Russia, un complesso di edifici in cui possono essere ospitati sviluppatori, progettisti, specialisti IT, industria sperimentale e start-up». Non solo. L’imprenditore si è messo a finanziare anche film, centri culturali, impianti sportivi e tutto quello che può servire per iniziare a farlo conoscere all’elettorato. Di certo, ormai, commenta tutti i principali avvenimenti politici con grande libertà. Incluse la ritirata da Kherson e la decisione di arretrare le truppe al di là del fiume Dniepr, giudicate «giuste» pur appartenendo alla cordata dei falchi, ossia di chi vorrebbe un approccio ancora più violento alla guerra.
Un nuovo cerchio magico
L’idea di molti analisti è che Prigozhin possa avere intenzione di fondare un partito di estrema destra, che riunisca i delusi dall’operazione militare speciale e quelli che vorrebbero una Russia ancora più lontana dall’Occidente. Ma nel Paese non succede nulla se Putin non lo consente, e qui risiede un elemento di novità interessante. Dietro questa costruzione di un nuovo personaggio politico ci potrebbe essere proprio la benedizione del presidente. Prigozhin e Kadyrov andrebbero quindi visti come un rinforzo di Putin contro il suo cerchio magico al Cremlino, composto da siloviki, ex funzionari dei servizi segreti, sempre meno convinti delle capacità dello Zar di guidare il Paese e che probabilmente stanno pensando al dopo Putin. Ma lui, lo zar, non ha alcuna intenzione di andarsene. E, per stare più tranquillo, ha pensato bene di mettere contro agli ex compagni del KGB due signori della guerra come Kadyrov e Prigozhin.