Tensioni internazionali

«L'uso dell'atomica non conviene né a Putin, né a Kim Jong-un»

L'intervista a Mauro Gilli, ricercatore dell’ETH di Zurigo, esperto di tecnologie militari
©Keystone
Osvaldo Migotto
06.10.2022 06:00

Le ripetute minacce russe di un possibile ricorso ad armi nucleari tattiche in Ucraina e i test balistici nordcoreani inquietano la comunità internazionale. Per una valutazione sul difficile momento che stiamo attraversando abbiamo sentito le valutazioni di Mauro Gilli, ricercatore dell’ETH di Zurigo, esperto di tecnologie militari.

Signor Gilli, la preoccupano di più le minacce nucleari russe o quelle nordcoreane?
«Premetto che vi sono degli analisti che non condividono la mia visione sull’attuale situazione. Ad ogni modo la domanda di base a cui dobbiamo rispondere è questa: possiamo escludere l’uso di armi nucleari? Purtroppo la risposta è no. E poiché si tratterebbe di un evento catastrofico, anche se parliamo dell’uso di armi nucleari tattiche e la possibilità che un attacco di questo tipo si verifichi sono molto basse, lo dobbiamo prendere in seria considerazione. Fatta questa premessa, vi sono due aspetti che mi danno una certa tranquillità. Si tratta del fatto che sia nel caso del conflitto in Ucraina, sia nel caso della Corea del Nord, i vantaggi derivanti da un ricorso ad ordigni nucleari non sono assolutamente evidenti. Anzi, nel caso nordcoreano le ripercussioni negative derivanti dall’uso di armi atomiche sarebbero ancora più dure. Già oggi Pyongyang è colpita da dure sanzioni internazionali che verrebbero ulteriormente accentuate».

Mentre nel caso russo quali scenari potremmo immaginarci?
«Nel caso della Russia è vero che al momento è in corso una controffensiva dell’esercito di Kiev nei territori occupati dalle truppe di Mosca, ma da qui a dire che il regime russo si senta in pericolo a tal punto da giustificare il ricorso ad armi atomiche, è una tesi difficile da sostenere. Del resto non è chiaro quali sarebbero gli obiettivi che Mosca potrebbe colpire con bombe nucleari. Del resto un paio di settimane fa il generale americano Ben Hodges, ex comandante delle forze USA in Europa, ha detto che se la Russia dovesse azzardarsi a usare armi nucleari, gli Stati Uniti come prima mossa distruggerebbero tutta la flotta del Mar Nero. E ciò sarebbe un duro colpo per Mosca. Quindi le conseguenze dell’uso dell’arma nucleare sarebbero pesantissime da diversi punti di vista».

Quali le ripercussioni negative per il regime di Pyongyang nel caso di un ricorso all’atomica?
 «Se Pyongyang colpisse la Corea del Sud rischierebbe di veder diffondersi la contaminazione nucleare anche sul territorio nordcoreano. Colpendo il Giappone tale rischio sarebbe minore ma esisterebbe ugualmente, mentre non è per nulla chiaro quali vantaggi potrebbe trarre Kim Jong-un dall’impiego di un ordigno nucleare. Quindi se facciamo un’analisi prettamente di costi e benefici, non c’è ragione di credere che convenga usare armi atomiche, sia da parte russa, sia da parte nordcoreana. Del resto la prova di forza avvenuta ieri con le esercitazioni congiunte di USA e Corea del Sud ha rammentato al regime di Pyongyang che le capacità di risposta a un attacco nucleare esistono e sono prontamente disponibili».

Ma i vertici del potere russo e di quello nordcoreano possono essere considerati attori razionali?
«Si potrebbe dire che questi personaggi non rientrano negli schemi tradizionali della razionalità, e ciò rappresenta un’obiezione assolutamente legittima. Quindi da una parte, per questo motivo, non possiamo escludere il ricorso alle armi nucleari da parte di questi due Paesi. Ciò detto, occorre precisare che nel momento in cui Vladimir Putin decidesse di usare un’arma atomica, impartito l’ordine vi è poi una catena di comando che dovrebbe eseguirlo. E non è impensabile che in questa catena di comando un paio di persone si rendano conto dell’assurdità di tale ordine. Tuttavia alcuni esponenti dell’amministrazione Biden si sono detti preoccupati dal possibile ricorso a ordigni nucleari da parte della Russia. Preoccupazioni che capisco perfettamente, tuttavia viene difficile pensare che si arrivi a questo punto, anche se tutto è possibile».

L’impressione è che ci si stia avviando verso una fase di instabilità. Con Cina e Russia che cercano alleati nella loro lotta contro la predominanza USA. Ciò produrrà un’incertezza generale?
«Fare previsioni sul futuro è difficile, ma penso che il sistema mondiale in cui viviamo dalla fine della Guerra fredda è un sistema nel quale le regole del gioco sono state fortemente influenzate dagli Stati Uniti. Queste regole ad alcuni piacciono e ad altri no. Il caso della Russia è però paradossale, in quanto è un Paese in declino e la guerra in Ucraina è stato il suo ultimo tentativo di indicare la sua rilevanza internazionale, anche se ormai non c’era più già prima della guerra in Ucraina, e ora dal conflitto rischia di uscire con conseguenze devastanti. Per quanto riguarda invece la posizione della Cina e dell’India è comprensibile, ma non dico corretto, che vogliano cambiare almeno alcune delle regole del gioco, rendendole a loro favore. Questo evidentemente crea dei conflitti d’interesse e a volte non si riesce a trovare un accordo, come abbiamo visto ad esempio nel caso di Taiwan. E allora si producono tensioni internazionali. Non tutte le aree del mondo saranno confrontate con una intensificazione dei conflitti, però alcune sì».

La Cina vuole rivaleggiare anche militarmente con gli USA, ma ne ha la capacità?
«Se guardiamo il livello tecnologico e di addestramento dell’esercito USA, non vi è dubbio che Washington abbia ancora un vantaggio competitivo sulla Cina. Però nel caso di un conflitto tra USA e Cina nell’Asia-Pacifico, gli Stati Uniti dipendono dalle loro basi in loco, facile bersaglio dei missili cinesi, o dalle portaerei, che dovrebbero operare a larga distanza. Pertanto il vantaggio tecnologico USA non si tradurrebbe necessariamente in un vantaggio operativo». 

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