Stati Uniti

Ma che cosa è successo a Southwest?

La compagnia low cost è stata l'ultima a risollevarsi dopo la tempesta di gelo che ha sconvolto l'America: migliaia e migliaia di voli cancellati, clienti arrabbiati, accuse dalla politica – Venerdì dovrebbe tornare la normalità, ma le domande restano
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Marcello Pelizzari
29.12.2022 20:00

Pochi giorni dopo l’ondata di freddo che ha tagliato le gambe agli Stati Uniti e, di riflesso, bloccato a terra molti aerei, le principali compagnie americane hanno ripreso senza problemi (e a pieno regime) il servizio. Delta, American Airlines e United, mercoledì, avevano cancellato ciascuna meno di 40 voli. Pochissimi.

C’è chi, però, non ha saputo risollevarsi. Provocando non pochi grattacapi ai passeggeri. E generando discussioni infinite sui media. Parliamo di Southwest. Le cifre: oltre 2.500 voli, il 62% di quelli pianificati, mercoledì è saltato. Non è andata meglio giovedì, come ha riferito la CNN, con 2.300 collegamenti cancellati. Ahia. Alcuni viaggiatori, impossibilitati a riprenotare con il vettore, hanno noleggiato auto o speso centinaia e centinaia di dollari per volare con altre compagnie. Senza nemmeno la garanzia di ricevere un indennizzo.

Una situazione paradossale, per certi versi. Con tanto di classica domanda: perché proprio Southwest? La compagnia, intanto, ha comunicato che domani, venerdì, riprenderà finalmente a volare normalmente con «minime interruzioni del servizio».

Il modello punto a punto

Una prima spiegazione per il caos di questi giorni è legata al modello di business della compagnia, che predilige collegamenti «punto a punto». Significa, banalmente, che i passeggeri possono volare fra una città e l’altra, spesso di piccola o media grandezza, senza dover passare da un hub centrale. Come potrebbero essere Denver o New York.

United e American, invece, volano secondo il modello hub-and-spoke: i passeggeri provenienti dalle città più piccole, per arrivare a destinazione, vengono prima fatti transitare da un hub. Il New York Times ci viene in aiuto con un esempio pratico: se un passeggero deve andare da Oklahoma City a Phoenix, è probabile che con United farà scalo per qualche ora a Denver, mentre con Southwest troverà un collegamento diretto.

Il sistema hub-and-spoke, ottica passeggero, può sembrare scomodo e pure stressante. Ma per un’azienda che fa del volo la sua attività, beh, offre ampi vantaggi. Come la concentrazione, in un unico scalo, di piloti, personale di volo e, soprattutto, aeroplani. Il che, va da sé, rende più facile una riorganizzazione dopo una tempesta come quella che ha colpito l’America.

Le cancellazioni di Southwest, per contro, hanno creato una sorta di effetto valanga. Propagatosi attraverso la sua rete capillare, con aerei ed equipaggi sparsi per il Paese. Il solo modo per ripartire, hanno spiegato gli analisti, in simili casi è riportare gli aerei e gli equipaggi dove dovrebbero essere in un determinato momento. Possibile solo, come ha fatto e continua a fare il vettore, cancellando un’enormità di voli.

Martedì, a tal proposito, l’amministratore delegato della compagnia, Bob Jordan, ha parlato di un gigantesco puzzle che, per funzionare, necessita di aeroplani sempre in movimento. Considerando la vastità del mercato di Southwest, quando la tempesta ha colpito aeroplani ed equipaggi erano fuori posizione in dozzine e dozzine di città. Se a questo aggiungiamo le ondate di influenza e COVID, che hanno colpito – e forte – anche all’interno del vettore, la frittata è bella che fatta.

Software anni Novanta

Il problema, leggiamo, è stato altresì tecnico, nella misura in cui Southwest – con così tante cancellazioni cui far fronte – a un certo punto non è più stata in grado di capire dove si trovassero tanto gli aerei quanto gli equipaggi. Il centro operativo è stato superato dagli eventi e, ovviamente, subissato di domande da parte del personale. I piloti, per dire, sono stati per ore e ore in attesa di capire dove (e quando) avrebbero volato di nuovo. Centinaia di loro si sono visti costretti a dormire negli aeroporti, fra i bagagli e i passeggeri. Roba da matti.

Secondo il principale sindacato piloti della compagnia, il sistema di pianificazione dei voli è (incredibilmente) ancora basato su tecnologie degli anni Novanta. Più volte il sindacato ha sollecitato Southwest ad ammodernare il sistema, invano. Eppure, proprio Jordan aveva riconosciuto quanto fosse obsoleto il citato sistema di programmazione. «Siamo indietro su questo aspetto» aveva dichiarato il dirigente lo scorso novembre a Fortune. «Man mano che siamo cresciuti, abbiamo superato i nostri stessi strumenti».

Southwest, fra le varie mancanze, non ha metodi rapidi o automatizzati per contattare i membri dell’equipaggio che vengono riassegnati. Qualcuno, di volta in volta, deve chiamarli o inseguirli negli aeroporti per dirglielo. Di nuovo: roba da matti.

Il prossimo volo? A fine gennaio...

Essendo una low cost, Southwest ad oggi non può neppure appoggiarsi su accordi con altre compagnie per consentire ai passeggeri di volare con la concorrenza in caso di cancellazione o significativo ritardo. Logico, trattandosi di accordi spesso costosi. I viaggiatori della low cost texana possono solo ricevere un risarcimento o essere riprenotati sul prossimo volo disponibile con il medesimo vettore. Un’alternativa, come detto, impraticabile per migliaia di persone negli ultimi giorni. Proprio perché di voli non ce n’erano.

Altro esempio del New York Times: Katie McNamara di Brooklyn ha visitato la famiglia in Mississippi con suo marito Justin e i due figli, di 8 e 2 anni. I quattro avrebbero dovuto tornare mercoledì da New Orleans, ma quando il loro volo è stato cancellato non sono riusciti a trovare altri voli sul sito web di Southwest. Le prime disponibilità? Il 31 gennaio. Di conseguenza, la famiglia ha sborsato 1.500 dollari per quattro biglietti di sola andata per New York con la rivale JetBlue. La signora McNamara ha detto di sperare che Southwest, ora, copra la spesa aggiuntiva. La compagnia, al riguardo, ha affermato che «le richieste di rimborsi ragionevoli direttamente correlate all’interruzione del viaggio» sarebbero state esaminate caso per caso.

La tempesta nella tempesta

Una tempesta nella tempesta, a maggior ragione se pensiamo che la politica ha mostrato tutto il suo disappunto. Martedì, il segretario ai Trasporti Pete Buttigieg ha dichiarato che il Dipartimento si aspetta che Southwest rispetti i propri obblighi nei confronti di passeggeri e lavoratori. E, ancora, che adotti misure per evitare che si ripeta una situazione simile. La presidente della Commissione per il commercio in Senato, Maria Cantwell, ha promesso che indagherà su quanto accaduto in maniera approfondita.

Anche la Borsa, era inevitabile, ha punito Southwest. Mercoledì, le azioni della compagnia sono scese del 5,2% dopo un calo del 6% martedì. Un tonfo che non si verificava da luglio. Per rimediare al disastro, il vettore verosimilmente dovrà scontare pesantemente i biglietti nel primo trimestre del 2023. Come riconquistare, altrimenti, i clienti maltrattati in questi giorni di gelo e problemi? Intanto, ricominciando a volare senza provocare ulteriori scossoni.