Ma il Texas è la nuova Silicon Valley?

Una sorpresa. Ma nemmeno troppo. O, se preferite, un addio fino a un certo punto. Lo scorso autunno, Tesla aveva annunciato che avrebbe trasferito la sua sede centrale dalla California al Texas. Detto, fatto. Sacramento reagì senza scomporsi troppo. E, soprattutto, senza preoccuparsi. In fondo, Tesla stava espandendo il suo stabilimento di assemblaggio a Freemont mentre attualmente sta costruendo una fabbrica di batterie a Lathrop. Sempre in California, già. Di più, stando agli agenti immobiliari la società di Elon Musk in questi mesi ha affittato diversi spazi per uffici a Palo Alto. Tutto regolare.
Eppure, la decisione di spostare il quartier generale ad Austin, capitale texana, assomiglia tanto, tantissimo a un segnale d’allarme. Che, invero, risuona da un po’ e fa più o meno così: il monopolio tecnologico della Silicon Valley potrebbe essere arrivato al capolinea.
74 traslochi nella prima metà del 2021
Il condizionale è d’obbligo. E questo perché al momento, leggiamo sul Los Angeles Times, lo Stato non può (ancora) lamentarsi. La California ha registrato una crescita senza precedenti sul fronte dei ricavi, grazie alle tasse sulle plusvalenze pagate dai super ricchi della citata Silicon Valley. Non solo, il grosso fra capitali di rischio e fondi di investimento si concentra nel Golden State. Gli analisti, però, sono preoccupati. Perché la facciata splendente potrebbe nascondere insidie per l’immediato futuro. Tesla è solo un nome, il più illustre, fra i tanti colossi della tecnologia che hanno deciso di trasferire la sede principale in Texas. Citiamo anche Oracle e HP Enterprise. Ahia.
È la punta dell’iceberg, parrebbe di capire. Secondo la Hoover Institution dell’Università di Stanford, per dire, nella prima metà del 2021 ci sono stati 74 traslochi di società attive nella tecnologia. Più dell’intero 2020, volendo fare un confronto. I motivi? L’aumento del costo della vita in California, politiche fiscali tutto fuorché vantaggiose e preoccupazioni varie. Musk, più di tutti, ha martellato sull’argomento via social. Lui stesso si è trasferito in Texas.
Ma c’è ancora un sacco di talento
Altro stop. Gli ottimisti affermano in coro: la Bay Area, di cui fa parte la Silicon Valley, ha un serbatoio di talento tecnologico talmente profondo – per tacere del clima californiano – che difficilmente perderà il suo ruolo di leader. Le aziende della prima ora – Apple, Cisco, Intel – sono ancora lì e lo stesso dicasi per i colossi più recenti come Meta, Google e Netflix. Perché fasciarsi la testa?
Volendo metterla sui soldi, l’anno scorso la Bay Area ha raccolto 120 miliardi di nuovo capitale di rischio. Una cifra, ad oggi, inavvicinabile da altre località.
L’hub californiano, però, potrebbe davvero trovarsi di fronte a un problema. Paragonabile alla cosiddetta fuga da Hollywood che ha coinvolto, anni fa, il cinema: molte riprese, oggi, vengono fatte in Canada o nello Stato della Georgia. I costi sono minori, la resa è simile se non migliore.
Quantomeno, la Silicon Valley non è più sola né il suo dominio può definirsi incontrastato.

Il Texas come un leone
Il Texas, dicevamo, sta recitando la parte del leone. Spogliatosi della sua immagine storica – i cowboy, il petrolio, il conservatorismo politico, il football – il Lone Star State si sta profilando sempre di più come una mecca tecnologica, forte di Università attrezzatissime e rinomate. Austin, fatto non da poco, è pure culturalmente compatibile con i californiani.
Dall’altra parte, invece, la Silicon Valley attualmente non riesce a compensare questi traslochi facendo confluire studenti, ricercatori e imprenditori dall’estero. Non come una volta, almeno. C’entrano le politiche migratorie dell’era Trump, gli effetti della pandemia, l’emergere della Cina quale attore tecnologico (ne avevamo discusso qui) e, infine, il costo della vita in California.
A tal proposito, una casa nella Bay Area costa più del doppio rispetto ad Austin. A Dallas, addirittura, il valore scende di un quarto. Anche a livello di uffici il Texas sta crescendo. Paradossalmente, anche grazie agli attori rimasti nella Silicon Valley. Meta affitterà trentatré piani in centro città a Austin, in quello che sarà l’edificio più alto della città.
Riguardo a Tesla, nessuno sa quante persone si trasferiranno in Texas. Musk, con il suo tradizionale aplomb, ha spiegato che nell’area di Austin le operazioni potrebbero aumentare fino a 20 mila dipendenti. Si vocifera, in questo senso, che anche le attività di ricerca e sviluppo lasceranno la California. Urca.
Fra sport e cinema
Trasferirsi, per gli americani, non è mai stato un problema né una difficoltà. Pensiamo alle franchigie sportive, che dall’oggi al domani salutano una città per un’altra. O ai tanti «basta, cambio vita» dipinti nei film, con l’iconico furgone U-Haul pieno all’inverosimile che sgasa al tramonto verso un nuovo amore, un nuovo lavoro, una nuova opportunità.
Le alternative alla California, insomma, ci sono. E non parliamo solo del Texas, ma anche di Columbus e Nashville. Ci sono e aumenteranno, a maggior ragione se nella Bay Area le prospettive per la classe media non sono più così allettanti. Detto in altri termini: un ingegnere che vive e lavora nella Silicon Valley potrebbe faticare a far quadrare i conti, mentre la qualità della vita altrove è ottima e si traduce in maggiori lussi. Una sorpresa. Ma nemmeno troppo.