Ma l'Ucraina può sopportare un altro anno di guerra?

L’Ucraina può sopportare un altro anno di guerra? La domanda, tutto fuorché scontata, è al centro di un reportage della BBC. Parte da premesse, di per sé, sconfortanti per Kiev: truppe stanche, in molti casi accerchiate, costrette a combattimenti sempre più intensi.
La BBC, nello specifico, ha parlato con i militari dell’unità con mortaio Black Pack, chiamati a impedire l’accerchiamento di Kurakhove. Surt, il loro comandante, 31 anni, si è unito all’esercito subito dopo l’invasione su larga scala della Russia spiega la BBC. All’inizio, racconta, pensava che la guerra sarebbe durata tre anni. Ora, invece, si sta preparando mentalmente per altri dieci anni di combattimenti.
Tutti, d’altro canto, sanno che Donald Trump vuole porre fine alla guerra. Anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il presidente russo hanno dichiarato di essere pronti a trattare, ma l’idea di un accordo che faccia l’interesse di tutti al momento sembra difficile da immaginare. Agli occhi dei soldati al fronte, quelle del presidente eletto statunitense sono soltanto chiacchiere.
Così Surt: «Trump è una persona piuttosto ambiziosa e credo che ci proverà». Allo stesso tempo, il comandante è preoccupato per il possibile esito dei negoziati. «Siamo tutti realisti, capiamo che non ci sarà giustizia per l’Ucraina: molti dovranno ingoiare il fatto che le loro case sono state distrutte da razzi e granate, che i loro cari sono stati uccisi, e questo sarà difficile».
Alla domanda del corrispondente della BBC se preferisca negoziare o continuare a combattere, Surt risponde con enfasi: «Continuare a combattere». Un’opinione, questa, che si riflette nella maggior parte dell’unità. Serhiy, il cuoco, ritiene che i negoziati bloccherebbero solo temporaneamente la guerra: «Il conflitto tornererebbe tra un anno o due». Certo, ammette, la situazione attuale «non è buona» per l’Ucraina. Ma anche lui è pronto a continuare a combattere. Essere uccisi, dice, «è solo un rischio professionale».
Davyd, dal canto suo, ritiene che Trump sia preoccupantemente imprevedibile. «Potrebbe essere un bene o un male per l’Ucraina» afferma.
L’unità trascorre una settimana al fronte e la successiva a riposo. Ma, anche quando si riposano, i soldati continuano ad allenarsi. E questo perché, dicono, l’allenamento li mantiene motivati. In un campo ghiacciato, ad esempio, si esercitano a sparare con i mortai. Alla squadra si è recentemente aggiunto Denys, che ha lasciato volontariamente la sicurezza della sua casa in Germania: «Mi sono posto la domanda, potrei vivere in un mondo in cui l’Ucraina non esiste?». Scontata la risposta. Quanto alla situazione sul campo, spiega: «Se non ci provi, perderai sicuramente. Almeno io morirò cercando di vincere, invece di stare sdraiato e subire».
A differenza degli altri, Denys dice di ritenere che l’Ucraina dovrebbe almeno prendere in considerazione un cessate il fuoco. Ritiene che le vittime dell’Ucraina siano più alte di quelle ufficialmente ammesse: più di 400 mila tra morti e feriti. Mobilitare un numero maggiore di persone, a suo avviso, non risolverebbe il problema: «Penso solo che molti dei soldati motivati si siano persi o siano dannatamente esausti: non è che vogliamo un cessate il fuoco, ma non possiamo andare avanti per molti altri anni».
Anche Dnipro, la terza città più grande dell’Ucraina, riflette questo senso di stanchezza per la guerra. È regolarmente bersagliata da missili e droni russi. Le sirene antiaeree suonano a intermittenza, giorno e notte. Quando tacciono, gli ucraini cercano di trovare un senso di normalità in questi tempi anormali, anche andando a teatro. Durante la rappresentazione pomeridiana di una commedia umoristica, intitolata La famiglia Kaidash, c’è comunque spazio per la guerra: un minuto di silenzio per ricordare i caduti, seguito dall’inno nazionale ucraino.
Alcuni, fra il pubblico, ammettono di sperare in una normalità più duratura. Così Ludmyla: «Purtroppo siamo di meno a livello numerico. Stiamo ricevendo un po’ di aiuto, ma non è abbastanza. Ecco perché dobbiamo sederci e negoziare». Kseniia, dal canto suo, spiega: «Non c’è una risposta facile. Molti dei nostri soldati sono stati uccisi. Hanno combattuto per qualcosa, per i nostri territori. Ma voglio che la guerra finisca».
Anche i sondaggi d’opinione indicano un crescente sostegno ai negoziati. Alcuni degli appelli più forti per un cessate il fuoco provengono da coloro che sono stati costretti a fuggire dai combattimenti. In un rifugio vicino al teatro, in ex alloggi per studenti, un gruppo di quattro donne anziane ricorda le case che si sono lasciate alle spalle. L’ottantasettenne Valentyna racconta che sono arrivati senza nulla, ma hanno ricevuto scarpe, vestiti e cibo. Dice che sono stati trattati bene. «È bello essere ospiti, ma è meglio essere a casa».
La sua casa si trova ora nel territorio occupato dai russi. Tutte e quattro le donne vogliono negoziati di pace. Ma Mariia, 89 anni, dice di non sapere come una delle due parti potrà «guardarci negli occhi dopo l’inferno commesso». Quindi, l’aggiunta: «È già chiaro che nessuno vincerà militarmente, per questo abbiamo bisogno di negoziati». Se davvero ci saranno negoziati, queste donne potrebbero essere le più sacrificate, così come l’Ucraina potrebbe dover sacrificare la terra per la pace.