Il caso

Ma nella guerra del grano il nemico adesso è l'Ucraina

Polonia, Ungheria e Slovacchia hanno deciso di bloccare i prodotti agroalimentari provenienti da Kiev a causa delle proteste interne di agricoltori e allevatori – Alla base del malcontento di questi ultimi c'è il crollo dei prezzi – A Varsavia il partito di governo crolla nei sondaggi
© Attila Husejnow / SOPA Images
Dario Campione
18.04.2023 06:00

Alleati. Uniti. Solidali. Ma fino a un certo punto. Fino a quando questa solidarietà, questa unità, non mettono in discussione il potere. Allora, le cose cambiano. Gli amici diventano improvvisamente nemici. E la minaccia russa, contro cui si combatte senza sosta da oltre un anno, è derubricata a fattore secondario. Primum vivere, perpetuare il proprio dominio elettorale. Deinde philosophari.

Blocchi sui binari

Da settimane, sui confini occidentali dell’Ucraina, si combatte una nuova guerra. Commerciale. Economica. La guerra del grano. Prima la Polonia e l’Ungheria, poi ieri la Slovacchia, hanno deciso di bloccare temporaneamente l’importazione e il transito dei prodotti agricoli ucraini sul proprio territorio. Presto potrebbero fare lo stesso altri due Paesi, la Romania e la Bulgaria. Da quando le tradizionali rotte del Mar Nero sono state bloccate, in tutto e in parte, a causa del conflitto con Mosca, il grano ucraino ha preso un’altra strada e viene esportato attraverso gli Stati dell’Unione Europea. Bruxelles, per aiutare Kiev a resistere alla pressione moscovita, ha pure deciso di eliminare i dazi. Risultato: il grano ucraino ha invaso i Paesi dell’Est. Alla fine, a causa di una certa carenza di camion e treni merci, ma anche per una questione di prezzo, invece di essere spedito fuori dall’Unione, in Medio Oriente e in Africa soprattutto, buona parte del prodotto è rimasta nel Vecchio Continente, facendo sprofondare il prezzo di mercato che oggi si aggira sui 380 euro a tonnellata (a fronte dei 550 euro dello stesso periodo del 2022). Le proteste di migliaia di agricoltori e piccoli imprenditori, dalla Polonia alla Bulgaria, sono state furibonde. Il ministro polacco dell’Agricoltura, Henryk Kowalczyk, di fronte alle manifestazioni di malcontento popolare, s’è addirittura dimesso. A Hrubieszov, da un paio di settimane i contadini polacchi presidiano giorno e notte i binari e tentano di bloccare i treni ucraini da 70 tonnellate che ogni giorno attraversano il confine. Il governo ha mobilitato i reparti antisommossa ma evita di calcare la mano. A Varsavia, in autunno, si vota. Diritto e Giustizia (Pis), il partito del premier Mateusz Morawiecki, è dato in calo nei sondaggi. Così il nuovo titolare dell’Agricoltura, Robert Telus, ha annunciato che la Polonia bloccherà fino al 30 giugno sia l’importazione, sia il transito, sia l’acquisto da Paesi terzi di ogni prodotto agricolo proveniente dall’Ucraina. «Siamo e rimaniamo immutati amici e alleati dell’Ucraina. La sosterremo e la sosteniamo - ha detto ieri il presidente di Pis, Jaroslaw Kaczynski - Ma è dovere di ogni Stato, di ogni buona autorità, proteggere gli interessi dei propri cittadini». Una dichiarazione in fotocopia rispetto a quella rilasciata qualche ora prima dal ministro bulgaro dell’Agricoltura, Yavor Gechev: «Gli interessi dei cittadini devono essere tutelati». Perché va bene la fratellanza, va benissimo la solidarietà e nessuno può negare che due settimane fa il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stato accolto nella capitale polacca come un eroe d’altri tempi: ma gli interessi di bottega prevalgono. Soprattutto quando si avvicina l’apertura dei seggi elettorali. Così, di fronte all’osservazione del ministro dell’Agricoltura di Kiev, Mykola Solskyi - «Comprendiamo questa dura concorrenza, che è il risultato del blocco dei porti ucraini. Ma è ovvio, per il mondo intero e per qualsiasi persona in questo mondo, che l’agricoltore ucraino si trovi nella situazione più difficile. E chiediamo alla parte polacca di tenerne conto» - il collega di Varsavia, Robert Telus, ha laconicamente risposto: «Siamo consapevoli di quanto sia difficile e tragica la situazione dell’Ucraina, degli agricoltori che rischiano la vita per lavorare la loro terra, però dobbiamo proteggere la nostra economia».

Effetto domino

La guerra del grano ha fatto scattare l’allarme nelle sedi istituzionali europee. Da Bruxelles, ieri, la Commissione non ha perso tempo e ha subito alzato la voce: «Azioni unilaterali non sono accettabili - ha detto un funzionario - La politica commerciale è una competenza esclusiva dell’Ue. In tempi così difficili, è necessario coordinare e allineare le decisioni al nostro interno». A fare paura è soprattutto un possibile effetto domino che potrebbe interessare diversi altri Stati dell’Europa Orientale. Tuttavia, il problema sollevato da Varsavia e dalle altre cancellerie del blocco di Visegrád è reale. Secondo i dati resi noti dalla stessa Commissione europea, le esportazioni agricole dell’Ucraina verso il mercato dell’Unione, a fine 2022, hanno superato in valore i 13 miliardi di euro, circa 6 miliardi in più dell’anno precedente. Con un aumento complessivo dell’88% nell’arco di 12 mesi, l’Ucraina è diventata il terzo fornitore di prodotti agroalimentari dell’Ue, superando gli Stati Uniti. L’import di cereali, in particolare, si è attestato sui 4,6 milioni di tonnellate, con un incremento di valore del 100%. Il risultato è che i prezzi sono crollati, e non soltanto negli Stati membri confinanti con il Paese in guerra. In Italia, ad esempio, primo produttore mondiale di pasta, sulle piazze di Bari e Foggia le quotazioni del grano duro “fino” all’origine sono crollate del 25-26% da inizio anno e del 14-15% nell’ultimo mese. Anche la produzione interna, stimata per il 2023 a circa 3,9 milioni di tonnellate, è in diminuzione rispetto ai 4,2 milioni di tonnellate del 2022. Con i costi così bassi, infatti, conviene importare invece di seminare. Gli agricoltori polacchi, bulgari e romeni sono stati comunque già risarciti con 56,3 milioni di euro, recuperati dalla Commissione Ue dal fondo di compensazione. Ma ai Paesi dell’Europa Orientale non basta: in una lettera alla presidente Ursula von der Leyen, pubblicata venerdì su un sito Web del governo di Varsavia, i primi ministri di Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Slovacchia hanno chiesto la redistribuzione del grano ucraino all’interno dell’Unione. E hanno insistito sulla reintroduzione dei dazi verso Kiev: l’afflusso di prodotti che sta spingendo verso il basso i prezzi nei mercati dell’Unione, hanno detto, non può essere fermato con altri mezzi.

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